Il Dipartimento della funzione pubblica ha aggiornato negli ultimi giorni la sezione pareri e note circolari del proprio sito istituzionale, aggiungendovi alcuni nuovi pronunciamenti concernenti diverse questioni afferenti il lavoro pubblico.
Riportiamo di seguito una sintesi delle conclusioni cui è giunto il Dipartimento con i citati pareri.
Parere sulle modalità applicative dell’articolo 1, comma 179, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 – Congedo parentale
Come noto, nell’ambito delle disposizioni in materia di sostegno alle famiglie, l’articolo 1, comma 179, della legge di Bilancio 2024 ha introdotto un’importante novità in materia di congedo parentale, prevedendo che: “All’articolo 34, comma 1, primo periodo, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, le parole: «elevata, in alternativa tra i genitori, per la durata massima di un mese fino al sesto anno di vita del bambino, alla misura dell’80 per cento della retribuzione» sono sostituite dalle seguenti: «elevata, in alternativa tra i genitori, per la durata massima complessiva di due mesi fino al sesto anno di vita del bambino, alla misura dell’80 per cento della retribuzione nel limite massimo di un mese e alla misura del 60 per cento della retribuzione nel limite massimo di un ulteriore mese, elevata all’80 per cento per il solo anno 2024». L’articolo 34, comma 1, del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, come modificato dal presente comma, si applica con riferimento ai lavoratori che terminano il periodo di congedo di maternità o, in alternativa, di paternità, di cui rispettivamente al capo III e al capo IV del medesimo testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001, successivamente al 31 dicembre 2023”.
Con tale intervento normativo, che incide, quindi, sul Testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il trattamento economico per il secondo mese di congedo parentale viene elevato dal 30% all’80% a favore di coloro che, alla data del 31 dicembre 2023, risultino ancora in congedo di maternità o paternità ovvero ne fruiscano successivamente. Ne restano, invece, esclusi coloro che, al 31 dicembre 2023, abbiano già fruito interamente del periodo di astensione obbligatoria di cui ai capi III e IV del citato Testo unico, per i quali, quindi, il trattamento economico rimane invariato come da normativa previgente.
Al riguardo, è utile rammentare che, in base all’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai pubblici dipendenti possono essere erogati solo i trattamenti economici espressamente previsti dalla contrattazione collettiva, in combinazione con quanto stabilito dalla fonte legale.
In conclusione, dunque, trattandosi di una misura di nuova introduzione a sostegno della tutela della genitorialità, avente, altresì, una diversa modalità di calcolo per l’anno in corso, si ritiene che la stessa possa essere immediatamente applicabile a tutti i lavoratori dipendenti, nel rispetto delle condizioni previste dalla normativa di riferimento.
Parere in merito all’applicazione dell’art. 11, comma 1, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 ottobre 2023, n. 137 – Trattenimento in servizio
Come noto, l’articolo 11 del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, rubricato “Disposizioni per l’efficienza della pubblica amministrazione”, dispone, al comma 1, che le amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, tra cui i Comuni, “possono trattenere in servizio, fino al 31 dicembre 2026, nei limiti delle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, i dirigenti generali, anche apicali, dei dipartimenti o delle strutture corrispondenti secondo i rispettivi ordinamenti, con esclusione di quelli già collocati in quiescenza, che siano attuatori di interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza”.
La richiamata disposizione legislativa, dunque, introduce una disciplina transitoria volta a non indebolire le amministrazioni pubbliche nella delicata fase di attuazione di interventi previsti nel PNRR, consentendo alle stesse di continuare ad avvalersi delle figure dirigenziali apicali chiamate a svolgere compiti di attuazione dei progetti di che trattasi, ai fini di garantire il conseguimento degli obiettivi programmati.
Orbene, è di tutta evidenza come il citato intervento legislativo, orientato, come detto, ad autorizzare la permanenza in servizio di personale dirigenziale titolare di determinate tipologie di incarichi strettamente connessi con l’attuazione di interventi nell’ambito del PNRR, rappresenti una deroga al regime ordinario e debba essere, per questo, oggetto di stretta interpretazione.
Atteso quanto sopra, ai fini dell’attuazione della norma, devono ricorrere determinati presupposti, tra cui, per quanto qui di interesse, innanzitutto la qualifica dirigenziale della figura da trattenere, ma, ancor più specificamente, una valutazione in ordine alla complessità ed alla dimensione organizzativa della struttura interessata, che consenta di ritenere tale incarico dirigenziale corrispondente ad uno di livello dirigenziale generale o apicale di cui al comma 1 del citato articolo 11. Inoltre, vale la pena di sottolineare che, in ogni caso, la prosecuzione del rapporto di lavoro deve essere disposta dall’amministrazione nei cui ruoli è inquadrato il dirigente che si intende trattenere.
Di conseguenza, la disposizione normativa de qua deve ritenersi inapplicabile da parte di un comune privo di personale di qualifica dirigenziale, che abbia conferito, ai sensi dell’art. 109, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le relative funzioni ai responsabili degli uffici o dei servizi.