Con la recente deliberazione n. 180/2024/PAR, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Campania ha affermato che la disposizione di cui all’art. 40, comma 3-quinquies, del D.Lgs. n. 165/2001 – ivi incluso il settimo periodo, secondo cui “al fine di non pregiudicare l’ordinaria prosecuzione dell’attività amministrativa delle amministrazioni interessate, la quota del recupero non può eccedere il 25 per cento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa (…)”, si applica anche agli enti che hanno autonomamente verificato il superamento dei vincoli finanziari imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge.
Ad avviso della Sezione, infatti, l’assenza di accertamento da parte di un organo esterno non preclude l’accesso al meccanismo di recupero previsto dall’art. 40, co. 3-quinquies, con limitazione dell’ammontare della quota di recupero annua al 25 per cento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa e contestuale incremento delle annualità interessate.
Ciò in quanto i Giudici ritengono che sarebbe incongruo, oltre che foriero di disparità di trattamento, precludere l’accesso a tale meccanismo in base a circostanze che sfuggono al controllo dell’Ente e che non dipendono dalla sua volontà. Diversamente argomentando, l’Ente dovrebbe “autodenunciarsi” agli organi di controllo e attendere un eventuale accertamento, che consenta poi di realizzare il presupposto applicativo dell’art. 40. Esigere una tale condotta dall’Amministrazione appare, tuttavia, irragionevole. Peraltro, la costante tensione verso la legalità finanziaria, nell’ambito di un aggregato di spesa nevralgico per la tutela degli gli equilibri di bilancio, impone di non escludere dal raggio di applicazione del meccanismo di recupero di cui si discorre gli enti che intraprendono, in via autonoma, un percorso di ripristino della legalità violata.
Resta tuttavia fermo che, qualora gli organi esterni di controllo procedano, successivamente, ad accertare il superamento dei vincoli finanziari imposti alla contrattazione integrativa in termini diversi da quelli stabiliti in via autonoma dall’Ente, quest’ultimo dovrà necessariamente adeguarsi a tale accertamento, ricalibrando il recupero in ragione del pronunciamento dell’organo esterno.
Per completezza, la Sezione campana ha poi altresì ritenuto utile precisare che, secondo un consolidato orientamento della Corte di cassazione (cfr. Cass., Sez. lavoro, ordinanza del 27/05/2024, n. 14762; in termini analoghi, ordinanza del 20/06/2023, n. 17648), l’art. 4, comma 1, del D.L. n. 16/2014 “non deroga affatto all’art. 2033 cod. civ., con la conseguenza che la P.A. può, nelle ipotesi previste dal citato art. 4, comma 1, recuperare, ai sensi del medesimo art. 2033 cod. civ., le somme illegittimamente versate direttamente dal dipendente che le abbia indebitamente percepite”.
Come è noto, l’art. 2033 c.c. prescrive, per quel che rileva, che “chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato“.
Si tratta, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, di una norma espressione di un principio generale del nostro ordinamento, per il quale ogni spostamento patrimoniale deve essere fondato su una causa giustificativa, in mancanza dovendosene rimuovere gli effetti.
Con riferimento ai pagamenti non dovuti effettuati dalla P.A., essa si ricollega anche ai principi dettati in materia di finanza pubblica, buon andamento della P.A. e gestione del pubblico denaro, di cui agli artt. 81, 97 e 119 Cost., nonché a quello di uguaglianza ex art. 3 Cost. e, in ambito lavorativo, a quello per il quale il lavoratore ha diritto, ai sensi dell’art. 36 Cost., ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.
Secondo la Corte di cassazione, pertanto, deve ritenersi che il D.L. n. 16 del 2014, art. 4, comma 1, “non introduca un sistema alternativo a quello disciplinato dall’art. 2033 c.c. e che, pertanto, anche nell’ipotesi regolata da detto art. 4, comma 1, l’ente locale possa agire per il recupero dell’indebito nei confronti del lavoratore che abbia percepito somme erogate senza rispettare i vincoli finanziari posti alla contrattazione collettiva integrativa”. In sintesi, il suddetto art. 4 “ha previsto semplicemente un meccanismo obbligatorio di riassorbimento delle risorse illegittimamente utilizzate per mezzo della contrattazione integrativa che opera all’interno della stessa P.A., nel senso che ne limita l’autonomia nella gestione delle disponibilità future, e si aggiunge al rimedio generale dell’art. 2033 c.c.”.
In sintesi, il peculiare sistema di recupero delineato dall’art. 4, co. 1, del D.L. n. 16/2014 – discorso analogo vale per l’art. 40, comma 3 quinquies, del d. Lgs. n. 165/2001, che replica il medesimo meccanismo con un ambito soggettivo di applicazione più ampio – non elide la necessità di agire, mediante il rimedio generale dell’art. 2033 c.c., nei confronti dei dipendenti che hanno indebitamente percepito somme erogate a titolo di trattamento accessorio, potendo, in caso di mancata attivazione, incorrere nelle maglie della responsabilità erariale.