Con la recente ordinanza n. 24615 del 14 agosto 2023, la Sezione Lavoro della Cassazione ha smentito l’interpretazione fino ad oggi seguita dalla Corte dei conti in ordine al secondo comma dell’art. 86 del D.Lgs. n. 267/2000, secondo la quale l’obbligo per l’amministrazione di versare la contribuzione previdenziale per i lavoratori autonomi chiamati ad assolvere funzioni di amministratore locale scatterebbe solo qualora vi sia stata, da parte dell’interessato, l’integrale sospensione dell’attività libero-professionale.
I Giudici della Cassazione hanno infatti evidenziato che la disposizione contenuta nel secondo comma dell’articolo in commento, nella parte in cui stabilisce il versamento «allo stesso titolo» per gli amministratori locali che «non siano lavoratori dipendenti», non può intendersi come volta a stabilire, anche per i lavoratori autonomi, la condizione di cui al primo comma (cioè l’aspettativa non retribuita), semplicemente perché detto presupposto è inconcepibile per i lavoratori che non siano dipendenti.
Con l’espressione in questione, dunque, si chiarisce solo che, anche per i lavoratori autonomi, il versamento ha la medesima «causale» di quello previsto per i lavoratori subordinati e che, quindi, ha ad oggetto gli «oneri assistenziali, previdenziali e assicurativi» dovuti alle Casse previdenziali di appartenenza dei professionisti.
La prescelta ricostruzione, afferma il Collegio, risponde alla ratio della disciplina, volta ad attuare il principio di cui all’art. 51, comma 3, Cost. di sostegno dell’Ordinamento ai soggetti chiamati a svolgere funzioni pubbliche elettive, cui deve essere garantito il diritto di dedicare, ad esse, il tempo necessario al loro adempimento, senza pregiudizio delle relative prerogative previdenziali e assistenziali.
In concreto, la realizzazione della indicata finalità deve tener conto della diversità dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi, trattandosi di categorie in alcun modo tra loro assimilabili.
In modo condivisibile, si legge nella sentenza, la Corte di appello ha perciò osservato che, ove si dovesse subordinare l’obbligo del versamento della contribuzione alla cessazione dell’attività lavorativa, anche per i lavoratori autonomi, verrebbe vanificata la garanzia costituzionale di cui all’art. 51 Cost. estesa altresì alla conservazione del «posto di lavoro».
Per i liberi professionisti impegnati in funzioni pubbliche elettive, la tutela al mantenimento del posto di lavoro – da intendersi estensivamente come mantenimento dell’attività lavorativa – diviene infatti effettiva solo se agli stessi, da un lato, è consentita la prosecuzione degli incarichi professionali e, dall’altro, è attribuito il beneficio previdenziale in discussione, a compensazione della ridotta capacità di contribuzione.
Di conseguenza, la previsione del beneficio dell’accollo contributivo, senza rinuncia allo svolgimento dell’attività professionale, considera la situazione del lavoratore autonomo e ne tutela le peculiarità; per quest’ultimo, la sospensione integrale dell’attività lavorativa avrebbe riflessi fortemente negativi per il futuro, rendendo oltremodo difficoltosa la ripresa; d’altro canto, lo svolgimento di un mandato, particolarmente impegnativo, come è quello connesso agli incarichi di cui al primo comma dell’art. 86, inevitabilmente interferisce sull’attività di lavoro, con ripercussioni prevedibili sul reddito e quindi sulla capacità contributiva del professionista.