La attitudine professionale del personale da assumere sulla base del solo requisito della scuola dell’obbligo può essere verificata anche attraverso una prova scritta, ben potendo quest’ultima essere orientata alla valutazione non già del grado di conoscenza astratta dei principi di una determinata disciplina, bensì della capacità di assumere in concreto i comportamenti necessari in un determinato contesto.
Invero, la prova non perde il suo contenuto di praticità per il solo fatto che consista nella risposta a domande scritte, ove dette domande non siano finalizzate ad accertare le conoscenze teoriche dell’avviato al lavoro e sollecitino solo la sommaria indicazione dei comportamenti da assumere nelle situazioni concrete prospettate.
In altri termini la “prova pratica” è ontologicamente diversa dalla “prova manuale” e si contrappone a quella teorica, perché è finalizzata a valutare non il grado di conoscenza astratta dei principi di una determinata disciplina, bensì la capacità di assumere in concreto i comportamenti necessari in un determinato contesto. Detta capacità può essere verificata anche attraverso una prova scritta, di per sé non incompatibile con il carattere della praticità, atteso che il discrimine fra teoria e pratica è dato, in detto tipo di prova, dal contenuto delle domande formulate e delle risposte richieste.
Non sussiste pertanto alcuna violazione dell’art. 27 del d.p.r. n. 487 del 1994 laddove l’amministrazione decida di selezionare attraverso una prova scritta i soggetti avviati al lavoro ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. b) del D.Lgs n. 165 del 2001.
È quanto ribadito recentemente dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con la sentenza n. 19521/2021.