L’UPI ha elaborato un interessante documento recante “Linee di indirizzo per l’applicazione del lavoro agile nelle province”, con cui si forniscono alcune utili indicazioni alle Province con l’obiettivo di favorire il rientro in servizio della maggior parte del loro personale, in considerazione delle manifeste carenze di risorse umane più volte manifestate dagli enti in questi anni a causa dei trasferimenti di personale e del blocco delle assunzioni avvenuti a seguito del D.L. 95/12 e della legge 190/14.
Il documento, dopo aver compiuto una approfondita ricognizione del quadro normativo di riferimento, ricorda che lo smart working non può più essere applicato in forma generalizzata a tutto il personale non addetto ad attività indifferibili ed urgenti. L’art. 263 del DL 34/2020 ha, infatti, superato (prima con la deroga e a decorrere dal 15 settembre 2020 con l’abrogazione), la lett. a) del comma 1 dell’art. 87 che limitava la presenza negli uffici pubblici agli addetti alle sole attività indifferibili e urgenti.
La normativa assegna oggi l’obiettivo alle pubbliche amministrazioni di mantenere in lavoro agile il 50% del personale impiegato nelle attività “che possono essere svolte in tale modalità”. Pertanto, non si tratta più di uno smart working generalizzato per tutte le attività non indifferibili da rendere in presenza, ma di uno smart working programmato, attraverso un piano (atto di natura organizzativa e non regolamentare) correlato ad attività che “in base alla dimensione organizzativa e funzionale” di ciascun ente possono essere rese in tale modalità.
La legge di conversione del D.L. n. 76/20 ha tra l’altro riformulato l’art. 263, precisando che l’organizzazione del lavoro deve consentire di erogare i servizi “con regolarità, continuità, efficienza, nonché nel rigoroso rispetto delle tempistiche previste dalla normativa vigente”.
Come ha chiarito la circolare 3/2020 della Funzione pubblica è, dunque, necessario che i dirigenti aggiornino ed implementino la mappatura delle attività che possono essere svolte in modalità agile senza arrecare disfunzioni o ritardi, tenendo conto della situazione organizzativa.
Sulla base dell’esperienza acquisita nel corso dell’anno 2020, le Province potranno disciplinare a regime, a decorrere dal 1° gennaio 2021, tramite un Piano organizzativo per il lavoro agile (POLA), le diverse modalità di lavoro a distanza (telelavoro, lavoro agile, ecc.) e organizzazione flessibile dell’orario di lavoro. In caso di mancata adozione del POLA, “il lavoro agile si applica almeno al 30 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano”, come previsto dall’articolo 14 della legge 124/15, come modificato dal D.L. 34/2020.
Tale Piano dovrà prevedere, nel caso dello smart working, la definizione degli ambiti in cui possono essere svolte le prestazioni in astratto, le modalità e i tempi di richiesta di fruizione dell’istituto da parte del personale, i criteri di preferenza e di alternanza in caso di richieste superiori a quelle accoglibili, le fasce di contattabilità, l’individuazione degli istituti contrattuali applicabili.
L’UPI ricorda infine che lo smart working che ha caratterizzato questo periodo emergenziale aveva come obiettivo principale quello del “distanziamento sociale” a tutela della salute pubblica, mentre lo smart working, vero e proprio, ha per espressa previsione di legge (ex art. 18 comma 1 L. 81/2017) lo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro.