Non è consentito alle Unioni di comuni costituire ex novo il fondo accessorio per il personale dirigenziale neoassunto neutralizzando le relative risorse rispetto al limite di cui all’art. 23, comma 2, D.Lgs n. 75/2017; e ciò non solo perché non è ammessa da parte loro l’applicazione diretta dell’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019 ai fini dell’integrazione del fondo risorse decentrate, ma anche perché non è possibile evocare in senso contrario l’argomentazione della valenza atomistica dell’unione di comuni quale risultante e proiezione di una pluralità di enti locali in sé rilevanti, ostandovi la specifica entificazione dell’unione di cui all’art. 2, comma 1, del D.Lgs. 267/2000.
È quanto affermato dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti del Veneto con deliberazione n. 125/2022/PAR.
Tale entificazione, precisa la Sezione, rende l’unione di comuni centro autonomo d’imputazione di interessi e preclude, di conseguenza, la valorizzazione dei singoli frammenti (i comuni) dell’intento unitario (l’unione) (cfr. Corte dei conti, sez. controllo Sardegna, deliberazione n. 60/2017/PAR, cit.). In conclusione, all’unione dei comuni quale ente locale ai sensi del richiamato art. 2, comma 1, D. Lgs. 267/2000 si applicano i seguenti limiti imperativi di spesa: 1) l’art. 1, commi 557 quater e 562, L. 296/2006; 2) l’art. 1, comma 229, L. 208/2015; 3) l’art. 23, comma 2, D. Lgs. 75/2017.
Per quanto riguarda più in particolare la costituzione ex novo del fondo accessorio, invece, vengono qui richiamati i principi generali elaborati dalla giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sez. controllo Sardegna, deliberazione n. 60/2017/PAR, cit.) per cui il “Fondo deve essere costituito in modo che sia rispettato il principio contenuto nell’art. 32, comma 5, del D.Lgs. n. 267/2000, secondo cui “…la spesa sostenuta per il personale dell’Unione non può comportare, in sede di prima applicazione, il superamento della somma delle spese di personale sostenute precedentemente dai singoli comuni partecipanti”, nonché il nuovo limite di spesa contenuto ora nell’art. 23, comma 2, del D. Lgs. n. 75/2017, così come sopra descritto. Tali norme vincolistiche devono essere interpretate, secondo l’orientamento prevalente (cfr. Sez. reg. di controllo Emilia Romagna del. n. 231/2014, Sez. reg. di controllo Piemonte del. n. 102/2016, 133/2016, 138/2016), nel senso che le risorse da trasferire al Fondo dell’Unione devono essere determinate applicando il criterio del “ribaltamento delle (…) quote” di pertinenza dei singoli Comuni aderenti all’Unione. Pertanto, la costituzione del Fondo in oggetto, sotto il profilo strettamente contabile, deve risultare a “saldo zero” e non comportare un incremento della spesa per il trattamento accessorio (e, quindi, complessivamente, per il personale) precedentemente sostenuta dai singoli Comuni aderenti (sul punto cfr. Sezione delle Autonomie del. n. 8/2011). Quindi, sommando l’importo del Fondo per il trattamento accessorio del singolo Comune aderente, decurtato della quota “ribaltata” sul Fondo dell’Unione, con la quota di sua spettanza “ribaltata”, la spesa complessiva per il trattamento accessorio deve risultare invariata. Sarà però necessario, al fine di garantire l’osservanza dei limiti di spesa in materia di trattamento accessorio contenuti nel richiamato art. 23, comma 2, del D. Lgs. n. 75/2017, che il Comune (…) quale ente aderente all’Unione proceda, innanzitutto, a quantificare l’ammontare complessivo delle risorse del proprio Fondo nel rispetto del limite rappresentato dal corrispondente importo determinato per l’anno 2016. Solo successivamente l’Ente potrà procedere a scorporare dal proprio Fondo, a vantaggio del costituendo Fondo dell’Unione, le quote del trattamento accessorio riferibili al personale comandato presso l’Unione”.