È legittimo il diniego su una istanza di accesso civico che si riferisca ad un numero elevatissimo ed assolutamente indefinito di atti e di documenti, di natura eterogenea, che non indichi neppure un intervallo temporale entro cui collocarli, a ciò ostando il principio generale del divieto di abuso del diritto, di natura trasversale nell’ordinamento, che costituisce una particolare declinazione del principio di buona fede, il quale, a sua volta, è attuazione del principio fondamentale di solidarietà politica, economica e sociale enunciato dall’art. 2 Cost., che rende un’istanza di accesso siffatta di carattere “massivo”, non proporzionato, manifestamente irragionevole e, perciò, abusiva.
È quanto stabilito dal Consiglio di Stato Consiglio di Stato nella recente sentenza n. 9470 del 25 novembre 2024.
L’abuso del diritto, precisano infatti i Giudici, pur teorizzato ed applicato, in principio, nell’ambito dei rapporti tra privati, costituisce una figura trasversale nell’ordinamento (ex plurimis, nell’ambito del diritto civile: Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2009 n. 20106; nell’ambito del diritto commerciale: Cass. civ., Sez. unite, ord., 30 gennaio 2023 n. 2767; nell’ambito del diritto tributario Cass. civ., Sez. unite, 23 dicembre 2008 n. 30055, 30056 e 30057; nel processo penale Cass. pen., Sez. Unite, 29 settembre 2011, n. 155; nel processo civile: Cass. civ., Sez. Unite, 16 febbraio 2017, n. 4090 e 15 novembre 2007 n. 23726; nel processo amministrativo: Cons. Stato, Ad. plen. 29 novembre 2021 n. 19; Sez. V, 6 settembre 2024, n. 7457), nel quale ha assunto la funzione di fungere da argine all’esercizio “formalmente ineccepibile” e “sostanzialmente distorto” della situazione di vantaggio di cui taluno è titolare.
Seguendo le coordinate teoriche delineate nel tempo dalla giurisprudenza, l’abuso del diritto costituisce una particolare declinazione del principio di buona fede, il quale, a sua volta, è attuazione del principio fondamentale di solidarietà politica, economica e sociale enunciato dall’art. 2 Cost. (Cons. Stato, Sez. IV, 05 settembre 2024, n. 7435; Sez. IV, 20 giugno 2024, n. 5514; Cass. civ., Sez. III, ord., 07 giugno 2024, n. 16024; Sez. III 14 giugno 2021 n. 16743), che impone a ciascun consociato, nel rispetto di questo dovere di solidarietà, di non “piegare” l’ordinamento al perseguimento di pretese che, considerate oggettivamente (cioè secondo una valutazione socialmente tipica di tipo oggettivo e senza cioè tenere conto dei motivi e dei nessi psichici che orientano chi agisce), in relazione alla vicenda in cui esse si esprimono, risultino sproporzionate, irragionevoli, emulative, prevaricatrici o ingiuste.
L’istituto sortisce dunque l’effetto di correggere (o, in alcuni casi di impedire) l’applicazione dello strictum jus, temperando il principio secondo cui qui iure suo utitur neminem laedit ed evitando che possano trovare giuridico riconoscimento (ad es., Cass. civ., Sez. unite, 23 aprile 2020 n. 8094, §. 9.6., in materia di inesigibilità del credito nel rapporto obbligatorio), nel processo o al di fuori di esso, pretese assiologicamente non giustificate, azionate o esercitate facendosi scudo di una qualche norma giuridica, di cui colui che agisce pretende di fare applicazione rigidamente, basandosi esclusivamente sull’interpretazione letterale della disposizione e senza rapportarla agli altri limiti (o alle altre situazioni di vantaggio) emergenti dall’ordinamento e, anzi, agendo in (aperto o celato) contrasto con gli ulteriori principi di ordine sistematico da questo emergenti e, in particolare, con il richiamato principio inderogabile di solidarietà.