I rapporti di lavoro instaurati ai sensi dell’art. 90 del d.lgs. n. 267/2000 seguono il destino del mandato elettivo in termini di scadenza, per cui possono avere durata anche superiore a trentasei mesi, ma mai superiore a quella del mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica.
È quanto precisato dalla Sezione Lavoro della Cassazione nella recente ordinanza n. 22337 del 7 agosto 2024.
Quella di cui all’art. 90 del d.lgs. 267/2000, non diversamente dall’art. 110 TUEL, rappresenta infatti una disciplina speciale all’interno della materia lavoristica e, in particolare, a quella dettata in materia di contratto di lavoro a tempo determinato, per il carattere fiduciario e di staff del rapporto instaurato dal lavoratore con l’organo politico, incarico per un mandato temporaneo.
Tanto consente di escludere ogni profilo di incostituzionalità della norma di interpretazione autentica di cui all’art. 18-ter, comma 1, del D.L. 30.12.2019, n. 162 (introdotto dall’art. 1, comma 1, della legge 28.2.2020, n. 8, di conversione in legge del citato decreto), la quale così letteralmente dispone:
«Nell’articolo 90, comma 2, del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti focali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, le parole: “contratto di lavoro subordinato a tempo determinato” si interpretano nel senso che il contratto stesso non può avere durata superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica, anche in deroga alfa disciplina di cui all’articolo 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e alle disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro che prevedano specifiche limitazioni temporali alla durata dei contratti a tempo determinato».
Invero, come affermato da Corte Costituzionale, n. 73 del 12 aprile 2017, al legislatore non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive, sia innovative che di interpretazione autentica, purché tale scelta normativa sia giustificata sul piano della ragionevolezza, attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata. Tra tali valori – costituenti limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi – sono ricompresi il principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti, quale principio connaturato allo Stato di diritto, la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico e il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.
Nello specifico, oltre ad evidenziarsi che non sussisteva alcun contenzioso seriale sul quale intervenire, l’intervento legislativo non è estraneo rispetto alla portata complessiva della norma ed alla interpretazione che di questa aveva dato il Giudice di legittimità.
Si tratta, allora, piuttosto di una norma volta ad assicurare, attraverso l’espressa previsione di una durata non superiore al mandato elettivo del sindaco o del presidente della provincia in carica e della sua retroattività una corretta e uniforme operatività di disciplina.
La specialità della previsione e l’essere la materia sottratta alla disciplina del d.lgs. n. 368/2001 (si consideri che il d.lgs. n. 165/2001, nelle norme finali — v. art. 70 – richiama espressamente le disposizioni del d.lgs. n. 267/2000) consente di escludere aspetti di contrarietà rispetto al diritto unionale quanto al profilo della durata superiore ai 36 mesi (si richiama Cass. n. 7858/2023 che con riferimento alla omologa disposizione speciale per i dirigenti – art. 110 TUEL – ha anche ritenuto insussistente ogni possibile profilo di irragionevolezza).
Né sussiste la violazione della direttiva 1999/70/CE sotto il profilo della reiterazione degli incarichi, sol che si consideri che la ragione oggettiva per l’affidamento degli stessi è già prevista dalla legge là dove la ha individuata nell’esigenza di assicurare, attraverso la costituzione di uffici alle dirette dipendenze del sindaco, del presidente della provincia, della giunta o degli assessori, l’esercizio delle funzioni di indirizzo e di controllo loro attribuite dalla legge.