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Sul trattamento economico dovuto per lo svolgimento di mansioni superiori

L’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, così come prima l’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993, disciplina due diverse ipotesi di espletamento di mansioni superiori: la prima (comma 2) legittima, perché temporanea e giustificata da «obiettive esigenze di servizio»; la seconda (comma 5), non consentita, perché avvenuta «Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2». Di questo secondo tipo di assegnazione a mansioni superiori la disposizione di legge sancisce la nullità, ma con diritto del lavoratore al pagamento della «differenza di trattamento economico con la qualifica superiore» (e con responsabilità erariale del dirigente che abbia disposto l’illegittima assegnazione a mansioni superiori «con dolo o colpa grave»).

In quest’ultima ipotesi, dunque, la posizione economica acquisita dal dipendente nell’ambito della categoria di appartenenza non è presa in alcun modo in considerazione ai fini della determinazione del compenso per mansioni superiori, dato che questo è rapportato esclusivamente alla differenza dei trattamenti stipendiali iniziali previsti, rispettivamente, per la categoria di appartenenza del dipendente e per quella superiore cui sono riferite le mansioni affidate al dipendente.

Una diversa interpretazione, che portasse al riconoscimento al lavoratore della sola differenza tra quanto normativamente previsto per la categoria superiore e quanto concretamente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di retribuzione, porterebbe a una sostanziale legittimazione dell’attribuzione in via di fatto di mansioni di categoria superiore a dipendenti che, per l’anzianità maturata nella categoria inferiore, non avrebbero diritto ad alcuna differenza retributiva, aggirando così l’obbligo di avviare tempestivamente le procedure per la copertura dei posti vacanti, come voluto dallo stesso art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, e senza alcun rischio.

Né vi è ragione di ravvisare, nel riconoscimento del diritto alla differenza tra i trattamenti economici iniziali delle due categorie, una «ingiustificata locupletazione», come paventato nella sentenza impugnata. Infatti, la maggiorazione retributiva rispetto al reddito percepito si giustifica proprio perché quel reddito sarebbe stato dovuto anche per lo svolgimento di mansioni corrispondenti al proprio inquadramento; sicché lo svolgimento, invece, di mansioni riconducibili alla categoria superiore rappresenta, di per sé, una valida giustificazione per un pagamento ulteriore.

È quanto affermato dalla Sezione Lavoro della Cassazione nella recente ordinanza n. 22958 del 20 agosto 2024.