Come noto, l’art. 60 del T.U. n. 3 del 1957 fa divieto al personale dello Stato di «esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente».
Tale divieto, secondo la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Sardegna (sentenza n. 130/2024), non viene meno per il solo fatto che la carica ricoperta dal dipendente pubblico si caratterizzi per l’assenza di poteri gestori.
Il Collegio reputa infatti che tale condizione non sia idonea a impedire che la fattispecie sia ricondotta nel novero delle interdizioni assolute di cui all’art. 60 del T.U. n. 3 del 1957, in quanto ciò non trova corrispondenza nel testo della norma, che non contiene alcun cenno alla carenza del potere gestionale per circoscrivere le situazioni di veto, delineate con estrema chiarezza.
Pertanto, la Sezione reputa che sia ininfluente che l’appartenenza all’organo di governance della società si sia tradotta o meno nell’esercizio in concreto di attività, non potendo per altro essere rimessa all’Amministrazione la verifica di questo elemento di fatto. La norma in commento pone infatti un divieto tout court in capo al dipendente pubblico di assumere cariche in società aventi scopo di lucro, a maggior ragione nel caso, come quello in esame, in cui siano retribuite.
In definitiva, ad avviso del Collegio, la evocata assenza di funzioni gestorie può essere riferita alle sole posizioni che, nell’ambito societario, non possano sostanziarsi nel compimento di attività di siffatta natura, quali quelle di socio, per le quali soltanto potrebbero ritenersi non ricorrenti gli impedimenti in discussione.