Dell’art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, conv. con modifiche in l. n. 135 del 2012, va data una interpretazione orientata alla luce dei principi tracciati dall’art. 7, comma 2, della Direttiva Ce n. 88 del 2003, come interpretato dalla giurisprudenza della CGUE, di tal che va riconosciuto al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie ogniqualvolta la mancata fruizione delle stesse sia dipesa da causa a lui non imputabile, indipendentemente dalla modalità di cessazione del rapporto.
Lo ha precisato la Sezione Lavoro della Cassazione nella recente ordinanza n. 19330 del 15 giugno 2022.
Il caso esaminato dalla Corte riguardava una dipendente pubblica dimessasi dal servizio che era stata impossibilitata a godere integralmente delle ferie maturate per via della fruizione da parte sua del congedo obbligatorio per maternità fino alla data della cessazione del rapporto di lavoro.
Come osservato dal Collegio, infatti, nel caso di specie si è verificata la sovrapposizione – peraltro solo apparente -di condizioni di segno opposto. Da un lato, vi è stata la fruizione da parte della lavoratrice del congedo obbligatorio per maternità, fino alla data della cessazione del rapporto di lavoro, ovvero una delle ipotesi che secondo la giurisprudenza della CGUE fa sì che l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva cit. sia ostativa a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in grado di fruirle. Né può porsi in dubbio che l’astensione obbligatoria per maternità sia riconducibile a tale alveo, essendo sostanzialmente sovrapponibile, ai fini che qui interessano, ad una condizione di malattia o comunque ad una ipotesi di impossibilità di fruizione indipendente dalla volontà del prestatore.
Per altro verso, è pure vero che, secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 96 del 2016, la monetizzazione delle ferie, nella specie, sarebbe preclusa dalla scelta operata dal lavoratore di recedere dal rapporto di lavoro con le dimissioni, come peraltro ritenuto dalla Corte di appello.
A ben vedere, affermano tuttavia i Giudici, nel caso in oggetto tale secondo principio non può essere applicato.
Nell’ipotesi in esame, infatti, va valorizzata, in relazione al periodo precedente le dimissioni, l’impossibilità per il datore di concedere le ferie, ma soprattutto per la lavoratrice di fruirne, essendo in astensione obbligatoria per maternità.
Questo rilievo deve avere la priorità, sia sul piano del bilanciamento degli interessi che su quello cronologico, rispetto alla scelta della lavoratrice di dimettersi.
In estrema sintesi, la dipendente non avrebbe in alcun modo potuto fruire delle ferie nel periodo di astensione obbligatoria e ciò rende neutra la circostanza che ella abbia poi scelto di dimettersi –come era suo diritto -per dar corso ad una nuova esperienza lavorativa.