Il generale principio della prevalenza dello scorrimento delle graduatorie in corso di efficacia rispetto all’indizione di nuove procedure concorsuali trova applicazione anche in caso di ricorso alle speciali modalità di reclutamento previste dall’art. 3-bis del D.L. n. 80/2021 (selezioni uniche per la formazione di elenchi di idonei all’assunzione nei ruoli degli enti locali).
È quanto ha stabilito il TAR Puglia (Sezione di Lecce) nella recente sentenza n. 1253 del 19 novembre 2024.
Il favor per l’utilizzo della preesistente graduatoria, precisa la sentenza, trova invero la sua ratio in una regola di economicità dell’azione amministrativa, correlata alla necessità di evitare inutili esborsi per l’espletamento di una nuova procedura, laddove l’amministrazione abbia già selezionato soggetti idonei a ricoprire l’identico profilo professionale, per cui i profili di omogeneità rilevanti sono costituiti dal profilo e categoria professionale, dal regime a tempo indeterminato o meno, dal titolo di studio richiesto e dal contenuto delle prove concorsuali.
Certo, sono tuttora individuabili casi in cui la scelta di procedere al reclutamento del personale mediante nuove procedure concorsuali, anziché attraverso lo scorrimento delle preesistenti graduatorie, risulta pienamente giustificabile, con il conseguente ridimensionamento dell’obbligo di motivazione.
Ma nel caso di specie non è stato possibile ravvisare nessuno dei casi eccezionali in cui tale pregnante obbligo di motivazione (nel caso in cui l’amministrazione intenda disattendere la regola dello scorrimento della graduatoria e procedere all’indizione di un nuovo bando di concorso) si attenua.
Invero, l’unica vera differenza riscontrata nella fattispecie tra le figure ricercate con le due procedure selettive in questione è risultata essere l’articolazione sul piano temporale del rapporto di lavoro subordinato: nella prima procedura il rapporto era full time (36 ore), mentre nella seconda procedura il rapporto era part-time (18 ore).
Sennonché, ad avviso dei giudici, tale elemento non può far venire meno l’omogeneità tra le due figure professionali, trattandosi di una mera modificazione quantitativa delle ore lavorate dedotte in contratto, senza che si verifichi novazione del rapporto lavorativo, restando identico l’inquadramento professionale e la categoria di appartenenza.
In proposito, il Collegio condivide infatti l’orientamento giurisprudenziale che afferma che: “nel caso di contratto di lavoro part-time, sebbene la prestazione si articoli in un numero di ore inferiore al tempo pieno (nella specie con una differenza di sole 8 ore settimanali), l’oggetto della prestazione lavorativa resta il medesimo, nulla mutando rispetto a professionalità, competenza e preparazione richieste per coprire lo specifico profilo lavorativo, fermo restando l’incidenza su un piano meramente quantitativo, afferente alla concreta articolazione temporale della prestazione. La possibilità di mutamento in tempo pieno del rapporto di lavoro part-time (e viceversa) costituisce sviluppo naturale di tale figura contrattuale, legato a contingenze di tipo organizzativo e/o finanziario, che riguardano per lo più l’ente e che certamente esulano da aspetti connessi all’oggetto della prestazione lavorativa e ai requisiti richiesti per poter ricoprire quel determinato profilo professionale, nell’ambito della categoria contrattuale di appartenenza. Ciò trova conferma nella circostanza che il passaggio da part-time a full-time concerne una mera modificazione quantitativa delle ore lavorate dedotte in contratto, senza che si verifichi novazione del rapporto lavorativo, restando identico l’inquadramento professionale e la categoria di appartenenza. Del resto, il profilo quantitativo riguarda solo una limitazione oraria della prestazione lavorativa, ma non smentisce il profilo della concorsualità, atteso che anche per la assunzione a tempo parziale risulta svolta una selezione di tipo corrispondente a quella per il tempo pieno” (Tar Campania, Napoli, sez. V, 27 giugno 2023, n. 3870).
La sentenza in commento, poi, precisa altresì che, proprio per il fatto che la normativa speciale di settore – ossia il già citato art. 3-bis del D.L. n. 80 del 2021 – non dispone nulla in ordine alla durata temporale delle graduatorie di merito stilate dagli enti locali all’esito delle prove di esame – a differenza di quanto accade, invece, per gli elenchi degli idonei che hanno pacificamente una durata triennale (cfr. art 3-bis, comma 5, del D.L. n. 80 del 2021) –, nella specie trova piena applicazione la disciplina generale di cui all’art. 91, comma 4, del Testo unico degli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000), il quale prevede che “per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione, per l’eventuale copertura dei posti che si venissero a rendere successivamente vacanti e disponibili, fatta eccezione per i posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso medesimo”.
Trattandosi di principio generale, infatti, per il Collegio è naturale che tale regola trovi, a fortiori, applicazione anche in presenza di discipline speciali relative agli enti locali che non vi deroghino espressamente.
Al riguardo bisognerebbe tuttavia considerare che ormai anche per gli enti locali la validità delle graduatorie concorsuali è di due anni.