Un comune ha chiesto al Ministero dell’Interno di conoscere il suo avviso in ordine alle richieste di rimborso di spese legali avanzate da un consigliere comunale di quell’ente a seguito del favorevole esito del procedimento penale avviato nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 342 bis c.p. e conclusosi con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Il Viminale, con nota prot. 1956 del 18/02/2021, ha in proposito osservato quanto segue:
L’articolo 7-bis, comma 1, del decreto legge 19 giugno 2015, n. 78 – recante ”Disposizioni urgenti in materia di enti territoriali” convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 6 agosto 2015 – ha sostituito il comma 5 dell’articolo 86 del d. l.gvo n. 267/2000 con il seguente: “Gli enti locali di cui all’articolo 2 del presente testo unico, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, possono assicurare i propri amministratori contro i rischi conseguenti all’espletamento del loro mandato. Il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, nel limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave”.
In primis, l’interpretazione letterale della norma, che ammette il rimborso “nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione”, induce a ritenere che il legislatore abbia inteso ammettere il rimborso delle spese legali limitatamente a procedimenti penali conclusi con l’esclusione della responsabilità dell’amministratore. Al riguardo si rammenta quanto affermato dalla Corte dei Conti secondo la quale “il rimborso delle spese legali in favore dei dipendenti e degli amministratori pubblici, assolti per non avere commesso il fatto nell’ambito di un procedimento connesso con l’espletamento del servizio, deriva dal principio per il quale”, sia nei rapporti privati che pubblici, “chi agisce per un interesse altrui (…) deve essere tenuto indenne sia dalle spese sostenute sia dai danni subiti per la fedele esecuzione dei suo compito”. A ciò la magistratura contabile soggiunge che: “Solo le pronunce di assoluzione motivate per insussistenza del fatto o perché l’imputato non lo ha commesso, consentono di escludere in radice il conflitto d’interessi. Qualora, invece, siano motivate ai sensi del comma 2, dell’art. 530, del c.p.p. che ricorre quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile, occorrerà altresì verificare l’assenza del conflitto d’interessi con l’ente pubblico”. (cfr. Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 158/2017/VSGO).
Sul significato della locuzione,” senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”, contenuta nel predetto comma 5, si sono pronunziate diverse sezioni regionali della Corte dei Conti in sede consultiva, giungendo alle seguenti conclusioni, sintetizzate chiaramente nella predetta pronuncia della sezione regionale di controllo per la Campania n. 102, in data 6 maggio 2019.
In primo luogo, la giurisprudenza contabile è ferma nel ritenere che gli amministratori, a differenza dei dipendenti pubblici, non hanno un diritto alla tutela legale, con onere a carico dell’ente amministrato, con la conseguenza che gli oneri assicurativi, di cui all’articolo 86, comma 1, primo periodo, T.U.O.L., e/o rimborso delle spese legali, ex articolo 86, comma 2, secondo periodo, T.O.U.E.L., a favore degli amministratori degli enti locali non costituiscono “spese obbligatorie”. (Corte dei conti, sez. regionale Basilicata, n. 45/2017/PAR; da ultimo Corte dei Conti, sez. reg. contr. Campania n. 102/2016).
In secondo luogo, la sostenibilità giuscontabile di tali oneri è stata normativamente condizionata dal citato articolo 86, comma 5, al rispetto del principio di cd. “invarianza finanziaria” ovvero la relativa spesa deve avvenire “senza maggiori oneri per la finanza pubblica”. Sulla scorta dell’orientamento maggioritario, il predetto vincolo della “invarianza finanziaria” deve essere considerato in relazione alle “spese di funzionamento”, quale “aggregato più idoneo a fungere da parametro di riferimento”, in rapporto al “rendiconto relativo al precedente esercizio” ed è possibile, in tale ambito, operare le necessarie “compensazioni interne” che escludono “nuovi o maggiori oneri”. (v. sez. reg. contr. Lombardia n. 452/2015, Id. n. 470/2015; sez. reg. contr. Puglia n. 33/2016; sez. reg. contr. Emilia Romagna n. 48/2016; sez. reg. contr. Marche n. 74/2016; sez. reg. contr. Calabria n. 35/2017; sez. reg. contr. Umbria n. 59/2018). Come evidenziato nella citata pronuncia della Corte dei Conti Campania, inoltre, “il limite di riferimento non è legato all’importo massimo del singolo rimborso” (da contenere comunque nei parametri di cui all’art. 13, comma 6, della l. 31/12/2012, n.27) ma a ciò che “è consentito complessivamente stanziare ed impegnare senza ledere la predetta invarianza finanziaria”. (Sez. reg. contr. Umbria n. 59/2018; sez. reg. contr. Campania n. 102/2019).
La giurisprudenza ha, inoltre, precisato che, posto che la materia del ristoro delle spese legali agli amministratori comporta scelte discrezionali con “vantaggi economici per gli stessi amministratori” che beneficiano del rimborso medesimo, “gli enti dovrebbero regolare tale materia con appositi regolamenti, per “garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa”, ex art. 12 della l. n. 241/1990. Le disposizioni di tali regolamenti, infatti, dovrebbero stabilire i “criteri e (le) modalità cui le amministrazioni stesse (dovrebbero) attenersi (v. ancora il precitato art. 12) per l’assegnazione o il riparto dello stanziamento”, e dunque per i singoli provvedimenti di rimborso (v. ancora se. Re. Contr. Basilicata, deliberazioni già citate).
Fermo restando il limite generale della “invarianza finanziaria” ex art. 86, comma 5, TUEL, pertanto, gli enti locali sono tenuti ad applicare i loro regolamenti sul rimborso delle spese legali ai propri amministratori, se adottati. Diversamente, seguiranno le regole generali sull’esercizio delle potestà discrezionali pubbliche, mediante provvedimenti di rimborso, rimessi alle loro responsabili determinazioni, in adesione ai consueti canoni di legalità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, così da evitare anche ogni possibile conflitto di interesse. (così sez. reg. contr. Campania n. 102/2019).
Alla luce di tali linee interpretative, ancora, la giurisprudenza contabile ha escluso l’ammissibilità del riconoscimento di debiti fuori bilancio in caso di mancata previsione della spesa o di stanziamento insufficiente, così come ha escluso la possibilità di apportare variazioni agli stanziamenti senza prima aver rigorosamente accertato il mantenimento degli equilibri; del pari, ha rimarcato la impossibilità di impegnare somme per il rimborso di spese legali se non sono garantite le correlative entrate a copertura.
Ulteriore requisito richiesto dal citato comma 5 dell’art. 86 del T.U.O.L. ai fini dell’ammissibilità del rimborso delle spese legali in favore degli amministratori locali è il nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti. Su tale aspetto si richiamano le considerazioni espresse dalla giurisprudenza amministrativa che, prima dell’intervento legislativo di cui al già citato d. l. 19 giugno 2015, n.78, ammetteva la rimborsabilità delle spese di che trattasi anche in favore degli amministratori locali sulla scorta della disciplina civilistica del mandato ex art. 1720 c.c.
In particolare, la V sezione del Consiglio di Stato, nella decisione n. 2242/2000, evidenziata la sostanziale eccezionalità del rimborso delle spese legali, necessariamente circondata da garanzie procedimentali che non hanno valore puramente formale, ma mirano ad accertare la presenza dei necessari presupposti sostanziali della pretesa, che, in ogni caso, postula l’accertamento dell’assenza di responsabilità dell’amministratore in relazione al fatto generatore dell’esborso anticipato nel giudizio penale, ha, altresì, ribadito, con richiamo alla giurisprudenza ordinaria, che, ai fini del rimborso, è necessario accertare che le spese siano state sostenute a causa e non semplicemente in occasione dell’incarico e sempre entro il limite costituito dal positivo e definitivo accertamento della mancanza di responsabilità penale degli amministratori che hanno sostenuto le spese legali.
Riguardo al nesso causale, può essere utile richiamare quanto argomentato dal Tar Puglia – Lecce, nella sentenza n. 380/2019, con riferimento ai dipendenti locali: “Occorre in particolare che gli atti o comportamenti posti alla base del processo penale risultino necessariamente collegati con l’adempimento di doveri d’ufficio e l’assolvimento di compiti istituzionali”.
Ulteriore condizione è l’assenza di un conflitto di interessi tra l’attività dell’amministrazione e la condotta dell’amministratore, che il comune interessato dovrà valutare ex post, a conclusione del procedimento (cfr. Corte di Cassazione, sezione I, sentenza n. 15724 del 13.12.2000 e n. 54 del 2.01.02). In base all’orientamento della magistratura (Corte dei Conti, sezioni riunite, 18.06.86, n. 501; Tar Lombardia, sezione II,14.01.93 n. 14; Tar Piemonte, sezione II, 28.02.95, n. 138; Consiglio di Stato, sezione VI, 13.01.94 n. 20) il contrasto di interessi va escluso quando l’amministrazione abbia adottato atti d’ufficio nell’esclusivo interesse dell’amministrazione e non può pertanto essere valutato in astratto ed ex ante, cioè con puro e semplice riferimento alle accuse rubricate, ma deve essere preso in considerazione in concreto, a conclusione del processo, tenuto conto dell’esito dell’istruttoria e del conseguente giudizio.
Il conflitto di interesse sussiste tutte le volte in cui l’ente ha assunto, in atti amministrativi o in sede giurisdizionale, una linea a tutela dei propri interessi totalmente o parzialmente diversa da quella dell’amministratore, ed in ogni caso in cui emerga obiettivamente una condizione conflittuale. Così, ad esempio, nel caso in cui la condotta dell’amministratore, pur risultando irrilevante in sede penale, abbia esposto l’ente ad una condizione pregiudizievole o comunque sfavorevole, ovvero non possa ritenersi coerente con i doveri imputabili allo stesso amministratore. (cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza n. 2242/2000).
Dunque, al fine della rimborsabilità agli amministratori delle spese legali sostenute, il legislatore richiede, oltre che la conclusione del procedimento penale con sentenza di assoluzione o con l’emanazione di un provvedimento di archiviazione, la sussistenza dei seguenti presupposti: assenza di conflitto di interessi tra l’amministratore e l’ente di appartenenza; nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; assenza di dolo o colpa grave; preventiva programmazione della spese in bilancio – nel rispetto del principio dell’invarianza – cui far fronte con le ordinarie risorse a legislazione vigente; rispetto del limite massimo dei parametri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 13, comma 6 della legge 31 dicembre 2012, n. 247; predeterminazione, ex articolo 12, legge n. 241/1990, nelle forme previste dal rispettivo ordinamento, dei criteri e delle modalità cui l’ente deve attenersi per l’assegnazione o il riparto dello stanziamento.