Tra le varie novità normative di questo anno convulso in materia di TARI, si aggiunge quanto previsto dal D.Lgs. n. 116/2020 che, in attuazione della direttiva (UE) 2018/851 e della direttiva (UE) 2018/852, è intervenuto a modificare, tra gli altri, gli artt. 183 e 198 D.Lgs. n. 152/2006 in materia di rifiuti. Nello specifico:
- l’art. 1 co. 9 modifica, integrandole, le definizioni di cui all’art. 183 co. 1 lett. b) D.Lgs. n. 152/2006. Di particolare interesse è l’inserimento della lett. b-ter che definisce i “rifiuti urbani” distinguendoli dalle tipologie di “rifiuto pericoloso” (lett. b) e “non pericoloso” (lett. b-bis); all’interno della definizione rientrano ora anche “i rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti [n.d.r. ossia diverse dalle domestiche] che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies”;
- l’art. 1 co. 24 interviene a modificare l’art. 198 D.Lgs. n. 152/2006 sopprimendo le parole “assimilati” ed aggiungendo il comma 2-bis il quale recita: “Le utenze non domestiche possono conferire al di fuori del servizio pubblico i propri rifiuti urbani previa dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi. Tali rifiuti sono computati ai fini del raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani”.
Dal combinato disposto delle due norme così modificate emerge dunque, da una parte, l’introduzione di una nuova tipologia di rifiuto prodotto dalle utenze non domestiche, definito “rifiuto urbano”, che va a sostituire la precedente categoria dei rifiuti assimilati; dall’altra, aspetto ancora più significativo, attraverso la creazione di questa nuova categoria, parrebbe generarsi una sorta di assimilazione per legge basata esclusivamente su criteri qualitativi (ossia in riferimento alle tipologie elencate nell’allegato L-quater dal D.Lgs. n. 152/2006, introdotto dall’art. 8 co. 7 D.Lgs. n. 116/2020), che comporterebbe il venir meno del criterio quantitativo che i Comuni avevano utilizzato per disciplinare con proprio regolamento l’assimilazione.
Deve essere tuttavia osservato che la norma così modificata non pare in linea con quanto stabilito, in materia di TARI, dall’art. 1 co. 649 L. n. 147/2013, il quale prevede, in caso di produzione di rifiuti speciali assimilati, che sia applicata una riduzione della quota variabile proporzionata alla quantità (e non solo alla qualità) dei rifiuti prodotti avviati al riciclo.
L’eliminazione della categoria rifiuti assimilati genera quindi non pochi dubbi applicativi in considerazione del fatto che alla revisione della norma in materia ambientale non è seguita una revisione della disciplina TARI che per certi aspetti si rifà necessariamente ad essa.
In attesa di un intervento del Legislatore, sembra quindi possibile continuare ad applicare i criteri di assimilazione previsti dagli Enti fino ad oggi e ciò anche al fine di mantenere le riduzioni concesse alle utenze non domestiche, che in caso contrario sarebbero tenute al versamento dell’intera quota variabile nonostante l’avvio a riciclo effettuato in autonomia. Peraltro è da evidenziare che la norma ambientale parla di avvio a recupero, mentre la disciplina in materia di TARI richiama la pratica dell’avvio a riciclo, come condizione per concedere la riduzione.
Nei prossimi giorni su questo sito pubblicheremo un approfondimento sull’argomento nel quale saranno trattate le problematiche derivanti dalla nuova disciplina.