Con l’ordinanza n. 7370 del 19 marzo 2024, la Sezione Lavoro della Cassazione ha escluso il configurarsi di una responsabilità per inadempimento ex art. 1218 c.c. in capo all’Ente comunale che, nell’ambito delle proprie valutazioni discrezionali, comunque vincolate alle risorse disponibili ed alla capacità di spesa, ometta di assumere le determinazioni necessarie al riconoscimento ed alla quantificazione della maggiorazione della retribuzione di posizione prevista dall’ art. 41, comma 4, del CCNL del 16.5.2001, non costituendo le previsioni di contrattazione collettiva fonte di un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore al riconoscimento della suddetta indennità, ferma, comunque, l’operatività del principio di onnicomprensività di cui all’art. 24, D. Lgs. 165/2001.
Invero, ricorda la Sezione, come già osservato da questa Corte (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 32231 del 2021), “il contratto nazionale, che questa Corte può direttamente interpretare ai sensi dell’art. 63 comma 5 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., come riformulato dal d.lgs. n. 40/2006, subordina la maggiorazione della retribuzione di posizione alla ricorrenza di specifiche condizioni ed in particolare richiede, oltre al previo intervento della contrattazione integrativa, una decisione in tal senso degli enti che «possono» deliberare l’aumento nei soli limiti «delle risorse disponibili e delle capacità di spesa», vincoli, questi, il cui rispetto è imposto anche alla contrattazione integrativa, la quale non può comportare, a pena di nullità delle clausole difformi, «oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale del bilancio» (cfr. anche la recente Cass. Sez. L – Ordinanza n. 2276 del 23/01/2024).
Da ciò consegue che la norma di contrattazione nazionale “stabilisce, come regola di carattere generale, il principio di onnicomprensività della retribuzione di posizione contrattuale, e consente la maggiorazione, non obbligatoria ma discrezionale, solo in presenza di specifiche condizioni che limitano la facoltà unilaterale del datore di lavoro pubblico di discostarsi dagli importi fissati, in via generale e onnicomprensiva, dalle parti collettive”.
A non diverse conclusioni, precisa poi la sentenza, si deve pervenire anche con riferimento all’indennità di risultato di cui all’art. 42 CCNL 2001, avendo questa Corte già enunciato – estendendo ai segretari comunali i principi che valgono per la dirigenza – il principio per cui, ai fini della determinazione della retribuzione accessoria, l’attribuzione di un determinato trattamento economico mediante l’adozione, ad opera della P.A., di un atto negoziale di diritto privato di gestione del rapporto, non è sufficiente, di per sé, a costituire una posizione giuridica soggettiva in capo al lavoratore, giacché la misura economica deve trovare necessario fondamento nella contrattazione collettiva, né può ritenersi configurabile una responsabilità per inadempimento dell’Amministrazione nei confronti del dipendente per non essere pervenuta alla conclusione del contratto collettivo (Cass. Sez. L – Sentenza n. 21166 del 07/08/2019).
Deve quindi escludersi una responsabilità della P.A. nei confronti dei propri dipendenti, in termini di un preteso inadempimento all’obbligo contrattuale di avviare tempestivamente procedure di confronto sindacale quale ulteriore condizione della pretesa economica avanzata (Cass. Sez. L, Sentenza n. 6956 del 25/03/2014; Cass. Sez. L, Sentenza n. 19040 del 25/09/2015; Cass. Sez. L, Sentenza n. 22934 del 10/11/2016)
Vale però la pena evidenziare che nella fattispecie in esame non si discuteva del diritto del Segretario alla percezione della retribuzione di risultato, bensì solo della quantificazione della stessa che, secondo l’assunto del Segretario medesimo, doveva essere maggiorata in ragione dello svolgimento di incarichi aggiuntivi.