È stata pubblicata la “Relazione sul costo del lavoro pubblico 2020” approvata recentemente dalle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei conti con la delibera n. 13/SSRRCO/RCL/20.
Come di consueto, l’esame dei profili dimensionali e di spesa del personale pubblico costituiscono il fulcro delle attività di indagine svolte dalla Corte dei conti in questa sede (indagini basate base sui dati del conto annuale 2018 elaborato dal Ministero dell’economia e delle finanze). Tuttavia, la chiusura di un protratto periodo caratterizzato dalla indispensabile attenzione sull’andamento dei conti pubblici del Paese e dall’applicazione di regole stringenti sulle voci di spesa del personale, hanno fornito l’occasione per affrontare il tema generale delle risorse umane da una prospettiva più ampia, che offra un’immagine completa del fattore produttivo lavoro alle dipendenze delle Pubbliche amministrazioni.
Particolarmente interessante risulta soprattutto il focus dedicato al tema del lavoro a distanza che, in prospettiva del suo consolidamento anche oltre la fase emergenziale, necessita di una regolamentazione più articolata sulle condizioni e sulle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa “da remoto”, anche tenendo conto di quegli istituti contrattuali attualmente legati al tempo di lavoro ed alla sua articolazione cui si ricollegano specifici compensi, indennità o altri benefici economici. Secondo la Corte, occorre inoltre valutare compiutamente l’adeguatezza dei sistemi informativi utilizzati dalle amministrazioni per supportare l’integrazione delle postazioni di lavoro da remoto con le applicazioni e i procedimenti preordinati all’erogazione dei servizi all’utenza. In prospettiva, una piena attuazione delle formule dello smart working richiederà un rapido superamento dei limiti dello sviluppo digitale e telematico nel mondo del lavoro pubblico; essi peraltro riflettono aspetti strutturali e culturali consistenti in: carenza di competenze digitali da parte dei lavoratori pubblici; presenza di criteri manageriali legati ancora ad un modello organizzativo gerarchico-omogeneo (mansioni) piuttosto che cooperativo-eterogeneo (professionalità); assenza di un’idonea economia degli skills, necessaria per pianificare formazione e riqualificazione in ragione del gap di offerta di lavoro pubblico; incompleta dematerializzazione delle attività pubbliche e relativa necessità di reingegnerizzazione dei processi; difficoltà nel valutare attività non misurabili in semplici «energie lavorative» (performance pubblica) e rigidità della relativa formulazione in termini di risultati parziali e finali.
La Magistratura contabile ha poi altresì ribadito l’importanza, oggi più che in passato, di accertare compiutamente l’efficacia, in concreto, dell’intero impianto regolatorio posto a presidio della valutazione delle prestazioni lavorative e del sistema degli incentivi (fino ad oggi quasi esclusivamente di tipo monetario), acquistando la necessaria consapevolezza che “importare” astrattamente modelli che hanno dato buoni risultati in ambiti profondamente diversi dall’amministrazione pubblica non assicuri, di per sé, l’obiettivo di migliorare la produttività del lavoro e, di conseguenza, l’efficienza e la qualità dei servizi alla collettività.
Le politiche del pubblico impiego, ricordano i Giudici, hanno frequentemente privilegiato un approccio teorico, costruendo modelli di disciplina del personale ispirati a grandi visioni ideali, l’applicazione dei quali ha spesso prodotto dinamiche diverse da quelle attese, anche per la difficoltà di prevedere, e poi comprendere e controllare, le reazioni di un sistema amministrativo complesso, diversificato ed in costante evoluzione.
Appare pertanto opportuno, in prospettiva, rifuggire dalla tentazione di inseguire nuovi paradigmi ideali, o riproporre quelli del passato, ma intervenire sulla base di diagnosi accurate e circoscritte; occorre eliminare le soluzioni dimostratesi inefficaci e introdurre prudenti innovazioni ispirate al pragmatismo.
A ciò la Corte aggiunge infine che, a fronte dei positivi risultati ottenuti sul rallentamento della spesa complessiva, emergono sempre con maggiore intensità, quelle criticità specifiche che si collegano ai provvedimenti adottati e, in particolare modo, quelle connesse al congelamento del ricambio generazionale. Il progressivo innalzamento dell’età media incide sul piano delle motivazioni che spingono il personale ad affrontare le sfide del cambiamento e del miglioramento. Ma vi sono anche ulteriori effetti legati all’innalzamento dell’età, quali la minore propensione degli over-50 a cogliere le enormi potenzialità che offre la digitalizzazione dei processi e di alcuni servizi. La prolungata assenza di turn over ha ulteriormente accentuato il gap conoscitivo e professionale tra le competenze teoriche, acquisite nell’iter formativo dalle nuove generazioni, cui per troppo tempo è stato precluso l’accesso al pubblico impiego, e quelle più “statiche” possedute dal personale in servizio, che continuano a caratterizzare, oltreché condizionare, la gran parte delle attività poste in essere dalle Pubbliche amministrazioni.
È perciò divenuta ormai improcrastinabile la tempestiva conclusione delle procedure concorsuali per il ricambio del personale cessato dal servizio, anche in relazione all’allentamento dei vincoli temporali per il collocamento a riposo, così da colmare alcune delle consistenti lacune determinatesi.