Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la redazione di un elaborato scritto in sede concorsuale deve essere anonima, anche in mancanza di una espressa previsione del bando che disciplina la procedura concorsuale. Questo principio trova infatti la sua ratio nella necessità che l’elaborato non sia immediatamente e chiaramente riferibile ad un concorrente, in quanto l’anonimato evita il rischio, anche potenziale, di condizionamenti esterni.
Tuttavia, come affermato dal Consiglio di Stato con sentenza n. 4925 del 26 settembre 2007, “solo se la prova pratica si sostanzia nella redazione di un elaborato scritto, la applicazione della regola dell’anonimato assume un carattere cogente; diversamente la pretesa di applicare questa regola non ha alcun senso“.
Lo ha ribadito recentemente il TAR del Lazio nella sentenza n. 12565 del 2023, ove si evidenzia che “il principio di anonimato – benché rispondente ad un’astratta “illegittimità da pericolo” – non può restare avulso dalle finalità cui lo stesso è preordinato (tutela dell’imparzialità del giudizio e della par condicio dei concorrenti) e, dunque, dalla concreta fattibilità di interventi manipolativi dei risultati“.
Motivo per il quale i Giudici hanno escluso che nel caso di specie si fosse verificata la violazione del principio di anonimato, richiedendo la prova pratica prevista dal bando lo svolgimento di attività progettuale in ordine alla quale rilevava anche una specifica presentazione.