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Progressioni verticali finanziate con lo 0,55% del M.S. 2018 incluse nel tetto di spesa del personale

Con la recente deliberazione n. 148/2024/PAR, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia ha escluso che la quota dello 0,55% del monte salari 2018, utilizzata per finanziare progressioni verticali in deroga ai sensi dell’art. 13, comma 8, del Contratto Collettivo Funzioni Locali 16.11.2022, sia assimilabile agli oneri per i rinnovi contrattuali e, pertanto, esclusa dal computo della spesa di personale ex art. 1, commi 557 e 562, della legge 27 dicembre 2006, n. 296.

Invero, precisa la Corte, tale assimilazione appare preclusa sia sotto il profilo letterale (dal momento che il monte salari è un valore economico che ricomprende tutte le somme corrisposte nell’anno di riferimento per il personale, mentre gli oneri per i rinnovi contrattuali individuano il maggior -e nuovo- valore correlato alla stipula di un diverso accordo di lavoro) che sotto quello logico-sistematico (visto che la ratio di tali previsioni non è quella di riconoscere ai dipendenti benefici indipendenti dall’autonomia decisionale dell’Ente, come avviene per gli oneri derivanti dai rinnovi contrattuali e relativi arretrati, bensì quella di valorizzare le professionalità dei dipendenti con le progressioni comparative da finanziare “mediante integrazione, a carico dei rispettivi bilanci, delle risorse relative ai contratti collettivi nazionali di lavoro 2019-2021 …nei limiti della medesima percentuale del monte salari 2018 …”).

Pertanto, ad avviso della Sezione, le risorse in questione non sono assimilabili agli oneri per rinnovi contrattuali perché, sebbene facciano riferimento nelle modalità di calcolo al monte salari del 2018, quindi, a tutte le somme corrisposte ai dipendenti nel 2018, hanno diversa natura, ratio e funzione, in quanto preordinate a progressioni economiche correlate a procedure comparative e non automatiche.

In definitiva, l’interpretazione letterale e logico-sistematico dell’art. 13 del CCNL 16.11.2022 e dell’art. 1, comma 612, legge n. 234/2021, conduce a ritenere che la quota del monte salari 2018, utilizzata per finanziare progressioni verticali ai sensi del comma 8, dell’art. 13, non sia assimilabile agli oneri per i rinnovi contrattuali e quindi non possa essere esclusa dai tetti di spesa secondo la previsione dell’art. 1, comma 562, della legge 296/2006 e s.m.i..

Invero, la definizione e la limitazione delle risorse integrative destinate alla progressione tra aree è da porre nella diversa e più importante finalità del legislatore di una ampia revisione dei sistemi di classificazione del personale e non è in alcun modo legata alla logica dei rinnovi contrattuali con predisposizione delle relative risorse. E ciò chiaramente emerge dai lavori preparatori sull’art. 1, comma 612, della legge n. 234/2021 che “in base alla riformulazione operata dal Senato, concerne le risorse finanziarie per la definizione, da parte dei contratti collettivi nazionali per il triennio 2019-2021, dei nuovi ordinamenti professionali del personale non dirigente delle amministrazioni pubbliche, sulla base dei lavori delle commissioni paritetiche per la revisione dei sistemi di classificazione professionale previste dai contratti collettivi precedenti (relativi al triennio 2016-2018)”.

In conclusione, le risorse per la progressione tra aree sono finanziate e integrate anche mediante l’utilizzo delle risorse determinate ai sensi dell’art. 1, comma 612, della L. n. 234 del 30.12.2021 (Legge di Bilancio 2022), secondo la misura percentuale suindicata, ma dal richiamo parametrico al monte salari non può in alcun modo dedursi una assimilazione tra tali risorse e gli oneri per i rinnovi contrattuali (né, si ritiene incidenter, tra i due diversi istituti contrattuali), con l’effetto di prodursi il superamento del tetto di spesa stabilito dalla legge.