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Progressioni verticali, consentito lo svolgimento di prove di esame?

Come noto, l’art. 52, comma 1 bis, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (modificato dall’art. 3-ter, comma 2, lett. c), del D.L. 9 gennaio 2020, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 5 marzo 2020, n. 12 ed infine sostituito dall’art. 3, comma 1, D.L. 9 giugno 2021, n. 80, convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2021, n. 113), in vigore dall’8 agosto 2021, prevede che “…Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree e, negli enti locali, anche fra qualifiche diverse, avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia de gli incarichi rivestiti”.

Prima delle modifiche apportate dal citato art. 3, comma 1, del D.L. 9 giugno 2021, n. 80, (convertito, con modificazioni, dalla L. 6 agosto 2021, n. 113), la stessa disposizione di legge prevedeva invece che “Le progressioni fra le aree avvengono tramite concorso pubblico, ferma restando la possibilità per l’amministrazione di destinare al personale interno, in possesso dei titoli di studio richiesti per l’accesso dall’esterno, una riserva di posti comunque non superiore al 50 per cento di quelli messi a concorso. La valutazione positiva conseguita dal dipendente per almeno tre anni costituisce titolo rilevante ai fini della progressione economica e dell’attribuzione dei posti riservati nei concorsi per l’accesso all’area superiore”.

Quindi, a seguito delle modifiche introdotte dal D.L. 80/2021, le progressioni verticali non avvengono più attraverso un concorso pubblico con riserva di posti, bensì mediante una procedura comparativa, “basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti”.

La domanda che molti enti si pongono è se questa nuova disciplina dell’istituto sia compatibile con lo svolgimento di prove simili a quelle previste nelle procedure concorsuali vere e proprie.

Sull’argomento, tuttavia, si registrano orientamenti diversificati da parte della giurisprudenza amministrativa.

Invero, secondo il TAR della Puglia (cfr. sentenza n. 538 del 30 aprile 2024), anche l’art. 52 comma 1-bis, del D.Lgs. n. 165/2001 “richiede una verifica sul possesso delle competenze professionali del dipendente che aspira alla progressione verticale, da svolgere nell’ambito di una procedura comparativa riservata ai dipendenti in possesso del medesimo titolo di accesso previsto per i concorrenti che provengono dall’esterno. In altri termini, anche a voler tener conto dell’art. 52 comma 1-bis, del D.Lgs. n. 165/2001, la disposizione nel prevedere la necessità di un accertamento delle competenze professionali, stabilisce che ciò avvenga mediante procedura comparativa, che può ben comprendere lo svolgimento di una prova orale” (colloquio, come previsto dal regolamento del comune resistente).

Secondo il TAR del Lazio, invece, non può negarsi che con la norma in esame “il legislatore abbia voluto, a regime, sancire la prevalenza, in sede di progressione dall’una all’altra area funzionale, dell’esperienza professionale maturata dal dipendente pubblico rispetto al superamento di prove di concorso” (cfr. sentenza n. 5920 del 25 marzo 2024).

Ora, a nostro avviso, quella contenuta nel più volte citato art. 52, comma 1-bis, del D.Lgs. 165/2001, rappresenta un’elencazione tassativa ed esaustiva (e, quindi, insuscettibile di essere estesa discrezionalmente) degli elementi su cui si deve fondare la valutazione comparativa prevista dalla legge, ma, vista l’esistenza di interpretazioni giurisprudenziali discordanti, sarebbe opportuno che il Dipartimento della funzione pubblica facesse chiarezza sul punto.