Con la recente sentenza n. 61/2020, la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per il Veneto ha ricordato che il conferimento di un incarico esterno (di consulenza, di studio, o di collaborazione) non è vietato in assoluto, ma è subordinato alla ricorrenza di alcuni presupposti che la normativa e la giurisprudenza hanno progressivamente elaborato.
Presupposti che si incentrano: a) sulla rispondenza dell’incarico agli obiettivi della P.A.; b) sulla preventiva verifica della mancanza di risorse interne utilizzabili; c) sulla necessità che gli incarichi individuali siano conferiti ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata (dunque temporanei), luogo, oggetto e compenso; d) sull’espletamento di procedure comparative.
Con riferimento alle collaborazioni esterne, è stato consentito al giudice contabile di valutare se la scelta di affidarle (anziché utilizzare risorse umane disponibili tra i dipendenti delle p.a.) fosse esorbitante rispetto al fine pubblico da perseguire, fermo restando il divieto di sindacare il merito di tale scelta (Cass., sez. un., 25 gennaio 2006, n. 1378). Peraltro, la positivizzazione dei principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa operata dall’art. 1, co. 1, della l. n. 241/1990 (cui si aggiungono i criteri di trasparenza e i canoni di derivazione comunitaria) produce una riduzione dell’area di insindacabilità – il cosiddetto merito amministrativo – in favore dell’ampliamento dei parametri della legittimità, con conseguente dilatazione della sindacabilità della scelta da parte del giudice contabile. In particolare, l’impossibilità oggettiva di reperire risorse umane disponibili all’interno delle p.a. è uno dei principali criteri elaborati dalla giurisprudenza per valutare la legittimità dell’incarico (cfr., Corte conti, Sezione giurisdizionale per il Piemonte, sentenza n. 20/2018, C. conti, sez. II, 20 marzo 2006, n. 122/A; id., sez. II, 28 novembre 2005, n. 389/A; id., sez. Veneto, 20 dicembre 2004, n. 1706; id., sez. Puglia, 10 gennaio 2003, n. 18).
In tale ottica – e in conformità a quanto stabilito dall’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 – il Collegio è chiamato a vagliare la sussistenza dei seguenti presupposti: 1) corrispondenza dell’oggetto della prestazione ad obiettivi e progetti specifici e determinati; 2) preliminare accertamento dell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno dell’ente; 3) prestazione temporanea ed altamente qualificata; 4) preventiva determinazione di durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. L’affidamento di incarichi esterni deve inoltre deve conformarsi ai criteri di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa (cfr., Corte dei conti, Sez. III Centrale d’Appello, sent. n. 306/10 del 24.02.2010; Sez. II Centrale d’Appello, sent. n. 263 del 26.8.2008; Sez. I Centrale d’Appello, sent. 220/2008 del 01.04.2008; Sez. Veneto, sent. n. 26/2014; n. 471/2010) e ai principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost.
La normativa in materia di conferimento di incarichi esterni all’Amministrazione, supportata da copiose pronunce dei giudici contabili, è, ormai, inequivocabile nel ritenerli ammessi esclusivamente in assenza di personale interno idoneo a svolgere quel determinato incarico e costituisce assenza di responsabilità soltanto un’azione ricognitiva debitamente documentata (tra le altre, Sez. II, 14 novembre 1997, n. 219; id., 2 ottobre 1997, n. 164; Sez. I, 18 aprile1999, n. 110; Sez. III, 10 aprile 2000, n. 133; Sez. III, 19 settembre 2000, n. 249; Sez. III, 8 gennaio 2003, n. 9; SS.RR., Delibera n. 6 del 16 febbraio 2005; Sez. II 22 aprile 2002, n. 136; Sez. II, 10 febbraio 2015, n. 49, Sezione I, 20 novembre 2017, n. 488). Inoltre, “la giurisprudenza, anticipando le disposizioni attualmente vigenti, ha sempre costantemente richiesto per la legittimità del conferimento di incarichi esterni alla amministrazione i due requisiti della accertata impossibilità di utilizzare personale già in organico e della natura altamente qualificata della prestazione, corrispondendo essi ad un principio di logica ed efficace amministrazione per il quale, atteso che ogni Struttura dell’amministrazione utilizza il medesimo bilancio, anche in presenza di carenze di personale la via del ricorso a spesa ulteriore rispetto a quella fissa derivante dal personale già in organico corrisponde ad una estrema ratio, una scelta straordinaria e del tutto eccezionale che presuppone l’impossibilità di fare ricorso ad altro personale già in servizio, onde la deviazione da tale principio, sia per l’importanza che per la generalità dello stesso, costituisce, soprattutto se compiuta da soggetto specificatamente preposto alla amministrazione del personale, quanto meno ipotesi di colpa grave” (Sezione giurisdizionale per il Lazio, sentenza 11 gennaio 2011, n. 26).