Con la deliberazione n. 72/2021 la Corte dei Conti del Molise, Sez. Regionale, ha ravvisato potenziali profili di responsabilità per danno erariale nei casi in cui i Comuni, al fine di definire una lite tributaria, si avvalgono dell’istituto della conciliazione giudiziale prevista dagli art. 48 e seguenti del D.Lgs. 546/1992.
In particolare, pur riconoscendo che tale istituto configura ipotesi di deroga al principio costituzionalmente previsto della indisponibilità della pretesa tributaria, i Giudici Contabili avvertono gli Enti in merito al fatto che resta necessario, in fase conciliativa, tenere comunque in considerazione i generali principi di prudente valutazione della convenienza della transazione in ottica di efficacia ed economicità. Aspetto evidentemente non tenuto in considerazione dal Comune coinvolto nella vicenda, il quale aveva rinunciato al 75% del credito tributario ICI, IMU e TASI riconosciuto dalla Commissione tributaria provinciale, nonché dell’intero ammontare delle sanzioni accertate.
Riportiamo di seguito i passaggi più significativi:
“[…] In materia tributaria è tradizionalmente enunciata l’esistenza del principio di assoluta indisponibilità della pretesa, che trova fondamento in numerosi principi costituzionali: riserva di legge ex articolo 23 Cost. (che demanda esclusivamente al legislatore il compito di indicare i criteri per la determinazione del contenuto dell’obbligazione tributaria); capacità contributiva di cui all’articolo 53, comma 1, Cost. (da cui si trae l’obbligo di assicurare l’eguaglianza dei cittadini in sede di riparto del carico impositivo); imparzialità della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.
La preclusione rispetto a poteri dispositivi diretti a incidere sul quantum del tributo non subisce tendenzialmente eccezioni con riferimento all’obbligo di pagare il debito di imposta. Sono tuttavia noti gli orientamenti contrastanti, anche della giurisprudenza di legittimità, in ordine alla natura negoziale o meno – dell’istituto della “conciliazione giudiziale”, richiamato nella fattispecie dal Comune. La facoltà di definizione concordata della lite, disciplinata dagli articoli 48 e segg. del D.Lgs. 546/1992, secondo un diffuso orientamento costituirebbe appunto una deroga al principio della cosiddetta indisponibilità del credito tributario e – atteso l’ampio tenore letterale delle norme – troverebbe applicazione in assenza di particolari limiti relativamente alla tipologia delle controversie conciliabili. […]
Orbene, con riferimento al potere di conciliazione degli enti o uffici impositori, deve ricordarsi che la facoltà di conciliare le controversie riservate alla competenza delle Commissioni tributarie non esclude la necessaria osservanza dei principi di prudente valutazione circa la convenienza della definizione amichevole delle liti, secondo i principi di efficacia ed economicità dell’attività amministrativa […]
L’ente pubblico coinvolto è tenuto, in altri termini, a valutare con attenzione la convenienza della proposta in relazione ai fatti controversi e alla ragionevole attività di interpretazione delle norme tributarie interessate, fermo in ogni caso, l’ancoraggio all’obbligo di perseguire l’interesse pubblico anche con riferimento al governo della pretesa tributaria. In tale condivisa prospettiva, la discrezionalità dei soggetti interessati con riferimento alle modalità di definizione della lite non è affatto assoluta e, in conseguenza delle scelte di volta in volta compiute, possono ritenersi anche integrati i presupposti della responsabilità per danno erariale. […]”.