Skip to content

Possibile conferire al personale in quiescenza incarichi retribuiti di formazione operativa e primo affiancamento del personale neo-assunto

A pochi giorni di distanza dalla pronuncia della Sezione regionale di controllo del Lazio (cfr. deliberazione n. n. 88/2023/PAR), la Magistratura contabile è tornata ad esprimersi sull’ambito di operatività dell’art. 5, comma 9, del decreto-legge 95/2012 e, in particolare, sulla possibilità di affidare ad un ex dipendente comunale collocato in quiescenza un incarico retribuito per l’attività di formazione e primo affiancamento del personale neo-assunto.

In proposito (con deliberazione n. 66/2023/PAR) la Sezione regionale di controllo della Liguria ha evidenziato che la risposta al quesito posto dall’ente presuppone la previa qualificazione dell’attività che verrebbe svolta dal soggetto incaricato – attività che il richiedente descrive in termini di “formazione specialistica” e “affiancamento”, ma più correttamente definibile in termini di “formazione operativa” (sul presupposto che la formazione teorica non sia necessaria, essendo le competenze del dipendente state già valutate in sede di assunzione dello stesso) e “primo affiancamento”, ossia di attività volta ad illustrare al dipendente neo-assunto, che non abbia una pregressa esperienza “sul campo” nell’esercizio di funzioni analoghe a quelle che è chiamato a svolgere presso l’ente, le modalità operative di svolgimento delle mansioni assegnatigli – in relazione alle fattispecie enumerate dalla disposizione in esame (incarichi di studio, incarichi di consulenza, incarichi dirigenziali, incarichi direttivi, cariche in organi di governo delle amministrazioni e in enti e società da esse controllati), in modo da verificare se la stessa vi sia ricompresa (con conseguente assoggettamento al divieto) oppure esclusa.

Proprio in ordine a tale qualificazione sono rinvenibili almeno due precedenti in termini di questa Corte.

Trattasi, in primo luogo, del parere reso dalla Sezione del controllo per la Regione Sardegna in data 1° agosto 2022 (deliberazione n. 139/2022/PAR), in cui l’attività in questione è stata qualificata, agli effetti dell’art. 5, c. 9, decreto-legge n. 95/2012 come attività di consulenza (a prescindere dal tipo di rapporto contrattuale alla base della prestazione), in quanto “il concetto di consulenza implica essenzialmente un supporto professionale svolto a favore di altro soggetto, che necessita di competenza qualificata per essere adiuvato o “formato” in determinate materie specialistiche”.

In secondo luogo, viene in rilievo il già richiamato parere reso dalla Sezione regionale di controllo per il Lazio (deliberazione n. 88/2023/PAR) che, sul presupposto del carattere tassativo delle fattispecie contemplate dall’art. 5, c. 9, decreto-legge n. 95/2012, ha escluso che l’attività di “supporto, affiancamento e assistenza” rientri nell’ambito di applicazione della disposizione in parola, nei limiti in cui detta attività di “assistenza” (consentita) si diversifichi da quelle di studio e di consulenza (vietate): si deve trattare, cioè, di un’attività di assistenza “che non comporti studio e consulenza, ossia attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche e che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale di cui agli artt. 2229 e ss. del codice civile”. Resta ferma la necessità di rispettare i limiti stabiliti dall’art. 7, c. 6, d.lgs. n. 165/2001 (corrispondenza dell’oggetto della prestazione alle competenze attribuite alla P.A. conferente; impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili all’interno della P.A. conferente; natura temporanea e altamente qualificata della prestazione; predeterminazione della durata, dell’oggetto e del compenso della collaborazione) con riguardo al conferimento di incarichi individuali, laddove si riscontrino specifiche esigenze cui non si possa far fronte con personale in servizio, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione (anche universitaria).

Orbene, tanto premesso, la Sezione ricorda che sulla nozione di “incarichi di studio” e di “consulenza” vi è una consolidata giurisprudenza di questa Corte. A partire dalla pronuncia delle Sezioni Riunite in sede di controllo del 15 febbraio 2005 (SSRRCO/6/2005/AUD), avente ad oggetto le “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42)”, la nozione di “incarichi di studio” è stata ricostruita alla luce della definizione contenuta nell’art. 5, d.p.r. 18 aprile 1994, n. 338 (regolamento concernente il procedimento per il conferimento di incarichi individuali ad esperti di provata competenza da parte dei Ministri, laddove vi siano esigenze non fronteggiabili con personale in servizio), che individua, quale requisito essenziale per il corretto svolgimento di questo tipo di incarichi, la consegna di una relazione scritta finale, nella quale vengano illustrati i risultati dello studio e le soluzioni proposte. Quanto alle consulenze, la medesima pronuncia da ultimo citata le ha definite come “richieste di pareri ad esperti”. Le Sezioni Riunite in sede di controllo hanno altresì indicato, a titolo esemplificativo, alcune attività qualificabili in termini di “incarichi di studio” e di “consulenze”: studio e soluzione di questioni inerenti all’attività dell’amministrazione committente; prestazioni professionali finalizzate alla resa di pareri, valutazioni, espressione di giudizi; consulenze legali, al di fuori della rappresentanza processuale e del patrocinio dell’amministrazione; studi per l’elaborazione di schemi di atti amministrativi o normativi.

La successiva giurisprudenza di questa Corte ha recepito le suddette nozioni – elaborate, come detto, rispetto alla normativa contenuta nella legge finanziaria per il 2005 – anche con riferimento alla norma oggetto della richiesta di parere in esame (Sez. reg.le di controllo per la Lombardia, nn. 148/2017/PAR e 180/2018/PAR).

L’attività oggetto della richiesta di parere in esame consiste, come detto, nella “formazione operativa” e nel “primo affiancamento” del personale neo-assunto e non integra, pertanto, né un’attività di studio destinata a confluire in una relazione illustrativa che descriva i risultati dello studio e le soluzioni proposte, né la formulazione di un giudizio da parte di un esperto di comprovata esperienza. Al contrario, si tratta semplicemente della mera condivisione, con il personale neo-assunto, dell’esperienza maturata dal soggetto in quiescenza nell’esercizio delle mansioni in precedenza affidategli.

In conseguenza della ricostruzione, nei termini che precedono, delle nozioni in esame e della pacifica natura eccezionale del divieto contemplato dall’art. 5, c. 9, decreto-legge n. 95/2012, ritiene il Collegio che l’attività descritta nella richiesta del parere in esame non costituisca né “incarico di studio”, né “consulenza”, e sia pertanto estranea all’ambito di applicazione della disposizione da ultimo citata.

Ciononostante, la Sezione non può esimersi dal rilevare come il conferimento di un incarico avente le caratteristiche descritte nell’istanza di parere in esame debba rispettare, come già rilevato dalla Sezione regionale di controllo per il Lazio, i limiti posti dall’art. 7, c. 6, d.lgs. n. 165/2001 (disposizione rispetto alla quale questa Corte non è competente ad esercitare la funzione consultiva ad essa attribuita dall’art. 7, c. 8, legge n. 131/2003, non trattandosi di norma in materia di contabilità pubblica; cfr. la deliberazione di questa Sezione n. 4/2022/PAR).

Tags: Incarichi, Quiescenza