Riportiamo di seguito alcuni nuovi orientamenti applicativi Aran pubblicati in questi ultimi giorni sul sito istituzionale dell’Agenzia.
Un ente con dirigenza che decide, per la prima volta, di istituire delle Posizioni Organizzative ai sensi degli artt. 13, 14 e 15 del CCNL 2016/2018 delle Funzioni Locali, che iter deve osservare per costituire le risorse necessarie al loro finanziamento?
In relazione alla questione posta, ai fini del finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato dei titolari di posizione organizzativa, a regime, occorre fare riferimento alle disposizioni contrattuali previste dall’art. 15, comma 5, e dall’art. 67, comma 1, del CCNL delle Funzioni Locali del 21.5.2018. Al riguardo, si ritiene, che il suddetto Ente dovrà tenere conto di quanto disposto dall’art. 7, comma 4, lett. u), del CCNL del 21.5.2018. Quest’ultima previsione prevede, difatti, che sia oggetto di contrattazione integrativa “l’incremento delle risorse di cui all’art. 15, comma 5, attualmente destinate alla corresponsione della retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative, ove implicante, ai fini dell’osservanza dei limiti previsti dall’art. 23, comma 2 del D. Lgs. n. 75/2017, una riduzione delle risorse del Fondo di cui all’art. 67”.
L’istituto della differenziazione dei premi individuali di cui all’art. 69 del CCNL 21/05/2018 del comparto Funzioni Locali si applica anche alla retribuzione di risultato dei titolari di posizioni organizzative?
La norma del CCNL del 21/05/2018 contenuta all’art. 69 non è rivolta ai titolari di Posizione Organizzativa, in quanto detta norma fa riferimento esclusivamente ai premi individuali di cui all’art. 68, comma 2, lett. b) e non anche alla retribuzione di risultato delle PO di cui all’ art. 15 del medesimo CCNL. Gli enti, sono comunque liberi di adottare anche per le Posizione Organizzative un meccanismo simile, attraverso la contrattazione integrativa dei criteri generali per la determinazione della retribuzione di risultato, come previsto dall’art. 7, comma 4 lett. v) dello stesso CCNL.
È possibile attribuire un incarico di posizione organizzativa ad un dipendente inquadrato in categoria C, pur in presenza di personale inquadrato in categoria D?
Ai sensi di quanto disposto dall’art. 17, commi 3 e 4 del CCNL del 21.05.2018, in deroga a quanto previsto dall’art. 13, comma 2, dello stesso CCNL, nei comuni privi di posizioni dirigenziali, in cui, pure essendo in servizio dipendenti inquadrati in categoria “D”, non sia possibile attribuire agli stessi un incarico ad interim di posizione organizzativa per la carenza delle competenze professionali richieste, al fine di garantire la continuità e la regolarità dei servizi istituzionali, è possibile, in via eccezionale e temporanea, conferire l’incarico di posizione organizzativa anche a personale della categoria “C”, purché in possesso delle necessarie capacità ed esperienze professionali. Questa facoltà può essere esercitata per una sola volta, salvo il caso in cui una eventuale reiterazione sia giustificata dalla circostanza che siano già state avviate le procedure per l’acquisizione di personale della categoria “D”.
Qual è il trattamento economico spettante ad un lavoratore a cui siano state assegnate le mansioni superiori, qualora si assenti per ferie o malattia?
In relazione al quesito in oggetto si evidenzia che la disciplina contrattuale prevista dall’art. 8, comma 7, del CCNL del 14.9.2000, nel disciplinare l’istituto delle “mansioni superiori” rinvia, per quanto non espressamente regolato, alle disposizioni di cui al D. Lgs 165/2001.
Relativamente alla questione posta, pertanto, non può che farsi riferimento ai contenuti di cui all’art. 52, comma 4, del richiamato D. Lgs 165 del 2001 secondo il quale, quando ricorrono i presupposti per l’assegnazione del pubblico dipendente a mansioni superiori “per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore”.
Si ritiene, pertanto che, nel caso di fruizione di giornate di ferie, nonché nei casi di assenza imputabile a malattia, infortunio o permesso per motivi personali, il trattamento retributivo differenziale connesso all’espletamento di mansioni superiori non debba essere corrisposto in quanto, nelle predette giornate, la prestazione lavorativa non viene effettuata.
Diversamente, si ritiene che il trattamento retributivo corrispondente alle mansioni superiori debba essere erogato in occasione delle festività e delle giornate di riposo settimanale in quanto tali giornate non interrompono la necessaria continuità nell’esercizio delle mansioni superiori.
La giornata di assenza per l’espletamento di visite specialistiche, terapie o esami diagnostici in concomitanza ad una incapacità lavorativa, conseguente ad una patologia in atto, è imputata a malattia, con la conseguente applicazione della disciplina legale e contrattuale in ordine al relativo trattamento giuridico ed economico?
Nel merito del quesito in oggetto si ritiene opportuno evidenziare che la fattispecie di cui sopra è specificatamente disciplinata dall’art. 35, comma 11, del CCNL del 21.05.2018 e riguarda il lavoratore che, trovandosi già in una situazione di incapacità lavorativa temporanea dipendente da una patologia in atto, deve, contemporaneamente, sottoporsi ad una visita specialistica o deve comunque effettuare terapie o esami diagnostici. Ai sensi della richiamata disciplina contrattuale, il lavoratore fruirà di una intera giornata di assenza che dovrà essere giustificata sia con la specifica attestazione del medico curante (comma 11, lett. a) sia con l’attestazione di presenza della struttura sanitaria che ha effettuato la prestazione (comma 11, lett. b). La predetta giornata, come espressamente chiarito dalla norma, è imputata a malattia, con la conseguente applicazione della disciplina legale e contrattuale in ordine al relativo trattamento giuridico ed economico. Per questa casistica, pertanto, non trova applicazione la disciplina dei permessi orari di cui all’art.35, comma 1, del CCNL del 25.1.2018 e l’assenza non è fruibile ad ore e non vi è riduzione del monte delle 18 ore annue di permessi per visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici.
Come vengono computate le assenze per malattia del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale?
La disciplina contrattuale di riferimento per la soluzione della questione in esame si rinviene nell’art. 33, comma 9, del CCNL comparto Funzioni Centrali del 9 maggio 2022 (per il comparto Funzioni Locali si veda l’art. 55, comma 9, del CCNL del 21 maggio 2018). In particolare, in merito al part-time verticale, la citata disposizione prevede che “I lavoratori a tempo parziale verticale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell’anno […] il relativo trattamento economico è commisurato alla durata della prestazione giornaliera. Analogo criterio di proporzionalità si applica anche per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia, ad eccezione dei permessi ex art. 33, commi 3 e 6, legge n. 104/1992 i quali si riproporzionano solo qualora l’orario teorico mensile sia pari o inferiore al 50% di quello del personale a tempo pieno.”
Pertanto, dal contenuto della clausola suindicata si evince che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia e fermo restando il triennio di riferimento entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto, avrà ad oggetto:
a) il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto), di cui all’art. 29 del CCNL in parola;
b) periodi in cui compete la retribuzione intera o ridotta, di cui al comma 10 dell’art. 29 citato.
In proposito, si precisa che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, è applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sul punto oltre all’art. 29, comma 10 lett. a) del citato CCNL, sussiste anche un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale i giorni festivi e/o i giorni non lavorativi ricadenti all’interno dell’arco temporale cui si riferisce il certificato medico, salva l’ipotesi di diversa previsione contrattuale, vengono computati come assenze per malattia (ex multis, Cass. Civ. sez. Lavoro sent. del 24/11/2016 n. 24027; Cass. sent. del 24/9/2014 n. 20106; Cass. sent. del 15/12/2008 n. 29317).
È possibile operare la trasformazione di un rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale in favore di un dipendente neo assunto che non ha ancora superato il periodo di prova?
La disciplina relativa all’istituto della trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale è indicata nell’art. 57, comma 1, lett. b) del CCNL comparto Funzioni Centrali del 12 febbraio 2018 (per gli enti del comparto Funzioni Locali si veda l’art. 53, comma 1, del CCNL del 21 maggio 2018).
Tale articolo, al comma 1 indica due modalità di costituzione del rapporto a tempo parziale, ossia: “a) assunzione, per la copertura dei posti delle aree o categorie e dei profili (…); b) trasformazione di rapporti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, su richiesta dei dipendenti interessati”.
Al successivo comma 11 si stabilisce che la trasformazione del rapporto di lavoro avviene “mediante accordo tra le parti risultante da atto scritto, in cui vengono indicati i medesimi elementi di cui al comma 10”.
Dalla lettura della disposizione contrattuale non si ravvisano nel vigente CCNL divieti in ordine alla possibilità di trasformare un rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale in favore del dipendente neo assunto prima del compimento del proprio periodo di prova. Invero, lo stesso comma 3 dell’articolo 57 in parola (il comma dell’art. 53 per gli enti del comparto Funzioni Locali), nell’indicare la tempistica con la quale presentare le richieste di trasformazione, parla indistintamente di “dipendenti già in servizio”, non ponendo pertanto alcuna limitazione soggettiva ai fini di tale trasformazione.
Inoltre, nessun divieto è nemmeno presente nella disciplina dedicata al periodo di prova.
In presenza di una norma che riconosce ad una determinata categoria di lavoratori un assegno ad personam riassorbibile, senza definire le modalità di riassorbimento, la riassorbibilità di detto assegno è riferibile solo ed esclusivamente agli incrementi tabellari previsti dai contratti collettivi, oppure anche ad un qualsiasi incremento economico a qualunque titolo conseguito dal lavoratore, come ad esempio la progressione economica?
In linea generale, si osserva che la ratio dell’assegno ad personam è quella di evitare che il mutamento di carriera o di Amministrazione comporti, per gli interessati, un regresso nel trattamento economico raggiunto (cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 112 del 11/01/2013). L’istituto in parola, infatti, garantisce l’equilibrio tra le componenti fisse e continuative del trattamento economico spettante prima e dopo la promozione o il passaggio da una Amministrazione all’altra, con esclusione dal calcolo degli emolumenti di carattere variabile o provvisorio (cfr. Consiglio di Stato, sent. n. 644 del 07/02/2012).
Pertanto, in assenza di specifica disciplina, si ritiene che ai fini della riassorbibilità dell’assegno ad personam rilevino tutti gli incrementi del trattamento economico fondamentale, indipendentemente dall’istituto contrattuale da cui gli stessi derivino (incrementi stipendiali o progressioni).
Diversamente opinando, infatti, l’escludere dal computo gli incrementi connessi all’acquisita progressione economica finirebbe per vanificare la finalità stessa dell’istituto. Sul punto, si veda Cass. civ. Sez. lavoro, n. 18299 del 25/07/2017, secondo la quale gli “assegni sono destinati ad essere riassorbiti negli incrementi del trattamento economico complessivo spettante ai dipendenti dell’Amministrazione cessionaria”, non distinguendo dunque il tipo di incremento cui ci si riferisca.