Riportiamo di seguito alcuni nuovi orientamenti applicativi Aran pubblicati quest’oggi nella banca dati dell’Agenzia.
Con riferimento al nuovo art. 33, comma 9, del CCNL comparto Funzioni Centrali del 09 maggio 2022 (per il comparto Funzioni Locali si veda l’art. 62, comma 9, del CCNL del 16 novembre 2022) nel caso di lavoratore in part-time di tipo verticale quando deve operarsi il riproporzionamento dei permessi previsti dalla Legge n. 104/1992?
Il trattamento economico e normativo del personale con rapporto di lavoro a tempo parziale è disciplinato dall’art. 33 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 9/05/2022, che disapplica e sostituisce l’art. 59 del CCNL del 12/02/2018. Le novità riguardano, in particolare, il comma 9, nella parte in cui viene recepito l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, in caso di part-time verticale con prestazione lavorativa superiore al 50% deve essere integralmente riconosciuta la fruizione dei permessi previsti dall’art. 33, commi 3 e 6, della Legge n. 104/1992. Nello specifico, il comma 9 dell’art. 33 del citato CCNL del 9/05/2022 prevede che “I dipendenti a tempo parziale orizzontale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie pari a quello dei lavoratori a tempo pieno. I lavoratori a tempo parziale verticale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell’anno. In entrambe le ipotesi il relativo trattamento economico è commisurato alla durata della prestazione giornaliera. Analogo criterio di proporzionalità si applica anche per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia, ad eccezione dei permessi ex art. 33, commi 3 e 6, legge n. 104/1992 i quali si riproporzionano solo qualora l’orario teorico mensile sia pari o inferiore al 50% di quello del personale a tempo pieno (…)”.
Tanto premesso, per comprendere quando operare il riproporzionamento è necessario declinare la locuzione “orario teorico mensile” di cui al comma 9 dell’art. 33 del CCNL.
Sul punto occorre ricordare che l’istituto in esame può essere fruito sia in giorni che in ore. In particolare, il beneficio complessivo massimo è pari a 3 giorni o 18 ore al mese nell’ipotesi di cui all’art. 33, comma 3, legge 104/1992; ad un permesso giornaliero di due ore nel caso di cui al successivo comma 6.
Ne consegue che le differenti modalità di fruizione comportano una diversa modalità di determinazione dell’orario teorico mensile. E infatti:
a) se il beneficio viene fruito in giorni, occorrerà raffrontare i giorni lavorabili nel mese dal dipendente a tempo parziale con quelli lavorabili dal personale con rapporto di lavoro a tempo pieno;
b) laddove, invece, l’istituto venga fruito in ore, si dovranno rapportare le ore lavorabili nel mese dal dipendente con rapporto di lavoro a tempo parziale con quelle lavorabili dal personale con rapporto di lavoro a tempo pieno.
Nel computo dei 15 giorni di permessi non retribuiti per motivate esigenze ex art. 55, co. 1, lett. d) CCNL comparto Funzioni Centrali 2016-2018 (per il comparto Funzioni Locali si veda l’art. 61, comma 1, lett. d) del CCNL del 16 novembre 2022) vanno computati i giorni festivi e i giorni non lavorativi ricadenti nel periodo richiesto?
L’art. 55, co. 1, lett. d) del CCNL comparto Funzioni Centrali del 12 febbraio 2018, riconosce al personale assunto con contratto a tempo determinato complessivi 15 giorni di permesso non retribuito per motivate esigenze.
Sul punto si ricorda che, salvo casi particolari di regola esplicitati nella norma, l’istituto dei permessi retribuiti e non retribuiti è finalizzato a giustificare le assenze dal lavoro del dipendente; per cui la ratio logico-giuridica risiede nel fatto che la mancata prestazione lavorativa da parte del lavoratore che usufruisce di un permesso risulta essere legittima e non costituisce violazione di obblighi contrattuali da parte del lavoratore.
Ne consegue dunque che, in assenza di differente previsione, ai fini del raggiungimento del limite massimo di 15 giorni si computeranno soltanto i giorni lavorativi con esclusione di quelli festivi e/o non lavorativi per i quali la mancata prestazione lavorativa non necessita di essere giustificata.
Come si calcola il periodo di comporto nel caso di un dipendente con contratto a tempo parziale di tipo verticale (di 18 ore settimanali, ripartite su tre giornate infrasettimanali)?
Il rapporto di lavoro a tempo parziale è disciplinato, per quanto qui interessa, dall’art. 59 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 12 febbraio 2018 (per il comparto Funzioni Locali si veda l’art. 62 del CCNL del 16 novembre 2022) il quale, con riguardo alla tipologia di part-time verticale al comma 9 riconosce il diritto alla fruizione dei singoli istituti contrattuali applicando il cd. criterio di proporzionalità, il quale vale non solo per le ferie ma anche “per le altre assenze dal servizio previste dalla legge e dal CCNL, ivi comprese le assenze per malattia”.
Dal contenuto della clausola suindicata si evince che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale trova applicazione un principio di riproporzionamento mediante il quale l’Amministrazione, in relazione alle assenze per malattia e fermo restando il periodo di osservazione (un triennio), dovrà riproporzionare il periodo di comporto e imputare allo stesso le giornate di assenza del dipendente ricomprese nel certificato medico e coincidenti con i giorni in cui avrebbe dovuto prestare l’attività lavorativa anche se coincidenti con una giornata festiva (es. festività del Santo Patrono).
Inoltre, con riguardo al giorno di riposo settimanale (di norma, la domenica) è applicabile la medesima presunzione di continuità alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sul punto, infatti, oltre all’art. 29, comma 10, lett. a) del CCNL 9 maggio 2022, sussiste anche un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale i giorni festivi, i giorni non lavorativi nonché il giorno di riposo settimanale ricadenti all’interno di tale arco temporale non vengono computati solo nel caso in cui vi sia una previsione contrattuale in tal senso (ex multis, Cass. Civ. sez. Lavoro sent. del 24/11/2016 n. 24027; Cass. sent. del 24/9/2014 n. 20106; Cass. sent. del 15/12/2008 n. 29317).
Un lavoratore neo-assunto o transitato all’area superiore a seguito di progressione verticale può immediatamente partecipare alle procedure di progressione economica orizzontale (c.d. PEO)?
L’art. 14 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 9/05/2022 (per il personale del comparto Funzioni Locali si veda l’art. 14 del CCNL del 16 novembre 2022) disciplina le progressioni economiche all’interno delle aree (c.d. PEO). Tale articolo, al comma 2, lett. a), indica i requisiti di partecipazione alla procedura selettiva, ovvero:
1) non aver beneficiato, negli ultimi tre anni, di alcuna progressione economica;
2) assenza negli ultimi due anni, di provvedimenti disciplinari superiori alla multa o al rimprovero scritto laddove comminato per “negligenza o insufficiente rendimento nell’assolvimento dei compiti assegnati”.
Con riguardo al punto 1), l’art. 14 in esame precisa, da un lato, che il termine di tre anni in sede di contrattazione integrativa può essere ridotto a due o ampliato a quattro; dall’altro, che ai fini della quantificazione del tempo trascorso tra due progressioni economiche si tiene conto delle date di decorrenza delle stesse.
Sotto tale ultimo profilo, va precisato che il requisito di cui al punto 1) rappresenta l’intervallo di tempo minimo che deve intercorrere tra l’inquadramento nell’area (mediante assunzione dall’esterno o a seguito di progressione verticale) ed il conseguimento della prima progressione economica ovvero, nell’ambito della medesima area, tra una progressione economica e la successiva. Ciò appare evidente dalla lettura complessiva della disposizione contrattuale in esame. Infatti, il comma 1 del citato art. 14 precisa quale sia la finalità dei differenziali stipendiali chiarendo che essi remunerano “il maggior grado di competenza professionale progressivamente acquisito dai dipendenti nello svolgimento delle funzioni proprie dell’area”. Ai fini del computo del suddetto periodo minimo tra una progressione economica e la successiva, nell’ambito della medesima area, si tiene conto anche delle progressioni economiche conseguite durante la vigenza del precedente sistema di classificazione professionale nonché delle progressioni economiche conseguite, nell’ambito della medesima area o di area corrispondente, anche in vigenza del precedente sistema di classificazione, presso altre amministrazioni da cui si provenga per mobilità.
Ne consegue che il lavoratore neo-assunto o quello che effettua una progressione verticale dovrà attendere 3 anni (ovvero il termine inferiore o superiore definito in contrattazione integrativa) prima di poter partecipare ad una procedura di progressione economica.
Il diritto alla conservazione del posto di lavoro nel caso di vincita di concorso pubblico viene riconosciuto al dipendente anche se quest’ultimo risulta vincitore in un’Amministrazione non appartenente a nessun comparto o area di contrattazione?
Il diritto alla conservazione del posto di lavoro è stabilito nell’art. 19, commi 10 e 11, del CCNL comparto Funzioni Centrali del 09/05/2022 (per il comparto Funzioni Locali si veda l’art. 25, commi 10 e 11, del CCNL del 16 novembre 2022) ed è riconosciuto, com’è noto, ai lavoratori a tempo indeterminato che hanno superato il periodo di prova assunti nelle Amministrazioni rientranti nell’ambito applicativo del comparto delle Funzioni Centrali ai sensi dell’art. 1, comma 5 del CCNL citato. È dunque un diritto soggettivo che spetta ai lavoratori di queste Amministrazioni, le quali lo riconoscono “per un arco temporale pari alla durata del periodo di prova formalmente prevista dalle disposizioni contrattuali applicate nell’Amministrazione di destinazione”.
Benché non vi sia un’esclusione esplicita delle Amministrazioni non rappresentate da ARAN in sede di contrattazione, come ad esempio gli Organi Costituzionali o le Autorità indipendenti, dalla formulazione adottata nella norma e, in particolare, dalla locuzione “disposizioni contrattuali”, si può desumere che il diritto alla conservazione del posto di lavoro è riconosciuto soltanto nei casi di vincita di concorso pubblico presso le Amministrazioni – anche di diverso comparto – rientranti nell’ambito applicativo del diritto del lavoro pubblico contrattualizzato, così come delineato ai sensi dell’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 165/2001.
Risultano, pertanto, escluse tutte quelle Amministrazioni i cui rapporti di lavoro sono retti dal diritto pubblico.
Un dipendente che ha vinto un concorso pubblico presso un’altra Amministrazione o Ente deve presentare le proprie dimissioni e risolvere in tal modo il rapporto di lavoro?
Il dipendente vincitore di concorso pubblico ha l’onere di rassegnare le dimissioni presso l’Amministrazione di appartenenza, secondo quanto previsto dall’articolo 68 del CCNL comparto Funzioni Centrali del 12/02/2018, estinguendo in tal modo il proprio rapporto di lavoro prima dell’assunzione nella nuova amministrazione. Allo stesso tempo, l’Amministrazione di provenienza ha l’onere di conservare il posto in dotazione organica per tutta la durata del periodo di prova pervista nell’Amministrazione di destinazione.
Nel caso in cui il dipendente volesse esercitare il diritto di cui all’art. 19, commi 10 e 11, del CCNL comparto Funzioni Centrali del 09/05/2022 (l’art. 25, commi 10 e 11, del CCNL del 16 novembre 2022 per i dipendenti del comparto Funzioni Locali), e rientrare così presso l’Amministrazione di provenienza, quest’ultima dovrà, avendo cura di inquadrare il dipendente “nell’area o categoria e profilo professionale di provenienza”, predisporre un nuovo contratto individuale di lavoro il quale esplicherà ex novo i propri effetti giuridici dal momento della sua stipula.