Con la recente ordinanza n. 19703 del 5 luglio 2023, la Sezione Lavoro della Cassazione ha rilevato la nullità della clausola di un contratto integrativo aziendale che prevedeva il criterio dell’anzianità di servizio quale unico parametro valutativo per il riconoscimento della progressione economica.
Come noto, infatti, l’art. 40, comma 3-quinquies, del TUPI, sanziona testualmente con la nullità parziale le clausole dei contratti collettivi aziendali difformi dalla contrattazione nazionale. In aggiunta a ciò, l’orientamento assolutamente maggioritario di questa Suprema Corte ritiene che i contratti integrativi non possano prevedere, a pena di nullità, clausole in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti nazionali (V. Cass. 8 gennaio 2018, n. 214: «con riguardo ai rapporti tra contrattazione collettiva di livello diverso, va ribadito l’orientamento giurisprudenziale espresso da questa Corte secondo cui nel settore pubblico il contratto integrativo è abilitato a disciplinare soltanto le materie delegate dai contratti nazionali e nei limiti da questi stabiliti e non può contenere, a pena di nullità, clausole in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti nazionali” (anche Cass. 25049/2015, 18860/2010)».
Nel caso specifico i Giudici hanno accertato l’esistenza di una norma della contrattazione nazionale (l’art. 35 del CCNL Comparto Sanità) che subordina il riconoscimento della progressione economica alla esistenza di molteplici fattori, quali l’impegno, il grado di coinvolgimento e l’iniziativa personale. In più, si legge nell’ordinanza, la norma del contratto collettivo nazionale che si assume violata da quello aziendale, ossia l’art. 35 cit., presenta l’ulteriore indefettibile requisito richiesto dalla giurisprudenza: la specificità (Cass. 21 dicembre 2015, n. 25686: «Nel pubblico impiego privatizzato, il principio per cui la contrattazione collettiva integrativa si svolge nelle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali implica che essi abbiano carattere di specificità e siano connessi a materie ed ambiti di disciplina espressamente riservati alla contrattazione collettiva nazionale, sicché gli stessi non possono essere desunti da precetti a contenuto generale, come quello dell’art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede una riserva di regolamentazione collettiva nazionale per la determinazione del trattamento economico»).
La ratio di tale norma, evidenzia la Sezione, è proprio quella di individuare dei criteri di selezione in grado di fondare una progressione economica basata sulla reale professionalità dei dipendenti e sul loro concreto impegno, fugando il solo elemento “formale” dell’anzianità di servizio (in questo senso, anche se in merito ad una diversa norma, Cass. 28 settembre 2021, n. 26274: «In tema di pubblico impiego contrattualizzato, nell’ambito del comparto degli enti pubblici non economici, la nuova disciplina posta in materia di classificazione del personale dal c.c.n.l. del 1° ottobre 2007 si interpreta nel senso che i passaggi ai livelli economici successivi avvengono sulla base di criteri oggettivi di selezione, che tengano in considerazione il livello di esperienza maturato, i titoli posseduti e gli specifici percorsi formativi e di apprendimento professionale, così escludendo che il criterio legittimante l’accesso ai livelli di sviluppo economico – destinato a riflettere un più elevato livello qualitativo del lavoro – consista unicamente nel tempo di permanenza nelle singole posizioni».