Vista la natura assistenziale dell’assegno alimentare corrisposto durante il periodo di sospensione cautelare dal servizio del lavoratore a causa della pendenza di procedimento penale nei suoi confronti, questo non deve restituire le somme neppure in caso di condanna.
Lo ha stabilito la Sezione Lavoro della Cassazione con la recente ordinanza n. 15799 del 17 maggio 2022.
A giudizio della Corte non può infatti accettarsi l’argomento (sviluppato dalla Corte territoriale rispetto all’ultimo C.C.N.L. – art. 97, co. 9 – ma analoga norma è contenuta anche nel C.C.N.L. applicabile ratione temporis – art. 62, co. 7) secondo cui la previsione del conguaglio a favore del dipendente, stabilita dalle norme collettive per il caso di sopravvenuta assoluzione, imporrebbe, per ragioni di coerenza intrinseca, di ritenere parimenti sussistente, a contrario, un corrispondente effetto nel caso di sentenza di condanna e quindi con obbligo del dipendente di restituire il perceptum.
È in proposito evidente come le due situazioni non siano per nulla assimilabili; infatti, il conguaglio a favore del dipendente ha la funzione di ripristino del sinallagma alterato dalla sospensione o riduzione dell’erogazione retributiva, nonostante l’assenza di responsabilità del lavoratore; viceversa, il trattamento alimentare è un mero sostegno assistenziale, che esprime la propria funzione, come si è detto, con la sua stessa prestazione e rispetto al quale non vi sono equilibri sinallagmatici lesi da ripristinare; pertanto, ciò che è previsto in caso di assoluzione regola un caso diverso da quello proprio della condanna preceduta da erogazioni alimentari le quali, proprio per la funzione che è loro propria, sono destinate ad essere consumate ed a non essere quindi in nessun caso ripetibili.