Il responsabile anticorruzione (RPCT) di una società/ente va individuato tra i dirigenti di ruolo in servizio, disponendo eventuali modifiche organizzative necessarie per assicurare funzioni e poteri idonei per lo svolgimento dell’incarico con piena autonomia ed effettività.
È quanto ha ribadito recentemente Anac con Atto del Presidente del 20 marzo 2024, rispondendo ad una richiesta di Parere di una società di servizi idrici integrati della Provincia di Salerno.
È opportuno – scrive l’Autorità – che l’incarico di RPCT sia attribuito ad un soggetto che abbia adeguata conoscenza dell’organizzazione e del funzionamento dell’amministrazione, sia dotato della necessaria autonomia valutativa e non si trovi in situazioni di conflitto di interessi. Tale ruolo, pertanto, non dovrebbe essere conferito a soggetti assegnati ad uffici che svolgano attività di gestione e di amministrazione attiva nonché assegnati a settori che sono considerati più esposti a rischio corruttivo.
Inoltre, stante il divieto, ai sensi dell’art 1, co. 8, della l. 190/2012, di affidare la predisposizione del PTPCT o delle misure integrative dal MOG 231 o del documento che tiene luogo del PTPCT a soggetti estranei alla società/ente, la nomina di un dirigente esterno quale RPCT deve considerarsi come una eccezione, che necessita di una motivazione puntuale, anche in ordine all’assenza di soggetti aventi i requisiti previsti dalla legge.
Qualora, poi, in ragione delle ridotte dimensioni di tali enti e degli organici estremamente ridotti, le figure che avrebbero le competenze per ricoprire tale incarico siano assenti o si trovino in una posizione di conflitto di interesse, essendo impegnate in settori esposti a rischio corruttivo, l’incarico, a titolo esemplificativo, può essere affidato a titolari di posizioni organizzative o comunque a profili non dirigenziali che garantiscano comunque le competenze adeguate e la posizione di autonomia e indipendenza richiesta dalla legge. In tale ipotesi, precisa Anac, l’organo di indirizzo è però chiamato a svolgere una vigilanza stringente sulle attività del soggetto incaricato. In circostanze eccezionali, si ritiene inoltre possibile attribuire il ruolo di RPCT anche all’Amministratore di una società, ma alla sola condizione che non abbia deleghe gestionali.
In aggiunta, “ove vi siano situazioni peculiari di tipo organizzativo che non consentano comunque di nominare un RPCT in base ai principi generali forniti da Anac, la società può operare scelte che rispondano alle proprie esigenze, compiendo le valutazioni necessarie di caso in caso. Gli organi di indirizzo sono, tuttavia, tenuti a motivare eventuali scelte e soluzioni non rispondenti ai citati orientamenti nel provvedimento di nomina del RPCT”.
Peraltro, afferma il parere, “soprattutto negli enti di piccole dimensioni, l’incarico di RPCT si configura come incarico aggiuntivo a quello di cui il soggetto individuato risulti già titolare”, non venendo in rilievo l’esercizio di un potere negoziale. Si tratta, piuttosto, dell’esercizio di un potere dell’organo di indirizzo di richiedere al dipendente tutte le mansioni esigibili dalla categoria di inquadramento, che di per sé non sono rifiutabili.
Di conseguenza, la rinuncia all’incarico di RPCT assegnato può ritenersi ammissibile solo ove vi siano adeguate motivazioni che dimostrino situazioni di incompatibilità/inopportunità, ma queste non possono certamente ravvisarsi nella mancata previsione di un compenso aggiuntivo. Per legge, infatti, dall’espletamento dell’incarico di RPCT non può, in nessun caso, derivare alcun compenso aggiuntivo, fatto salvo il solo riconoscimento, laddove sia configurabile, di eventuali retribuzioni di risultato legate all’effettivo conseguimento di precisi obiettivi di performance predeterminati.