Con deliberazione n. 176/2020/PAR, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia ha affermato che, conformemente alla costante giurisprudenza della Corte dei conti, il principio espresso dalla Sezione delle Autonomie con la deliberazione 15/2019/QMIG, in base al quale gli incentivi di cui all’art. 113 del D.Lgs. n. 50/2016 non sono riconoscibili ai contratti di concessione, sia da applicare anche quando l’amministrazione riconosca ai sensi delle disposizioni richiamate un prezzo (contributo pubblico) al concessionario.
A giudizio della Sezione va infatti anzitutto sottolineata in proposito la mancanza del requisito della “identità” del capitolo, non essendovi, per il caso di concessione, la presenza di costi di gestione a carico della stazione appaltante, sicché non sarebbe integrata la fattispecie normativa di cui al comma 5 bis del cit. art. 113, a mente del quale “gli incentivi di cui al presente articolo fanno capo al medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e forniture” (in fattispecie analoga e in tal senso cfr. Sezione regionale di controllo per il Piemonte deliberazione n. 110/2019/PAR).
Nel caso del contributo per le concessioni il “di cui” al quale fa espresso riferimento il Comune richiedente (ossia il valore degli incentivi) non potrebbe costituire voce del quadro economico dello stanziamento previsto nella declinazione della spesa per l’ appalto del lavoro o servizio, ma rappresenterebbe, invece, una voce inserita nello stanziamento di risorse finalizzate all’erogazione di un prezzo consistente in un contributo pubblico, che non ha comunque natura di corrispettivo a differenza del “prezzo” del contratto di appalto.
Inoltre, l’auspicata assimilazione tra appalto e concessione, prospettata dal comune richiedente, va esclusa anche in ragione del disposto del comma 2 dell’art. 113, dove si statuisce che le risorse finanziarie che alimentano l’apposito fondo nella misura non superiore al 2% sono “modulate sull’importo dei lavori, servizi e forniture, posti a base di gara”. Tutto ciò sta a dimostrare che non sarebbe possibile modulare gli incentivi sull’importo dei lavori, servizi e forniture, posti a base di gara dal momento che nel bilancio dell’ente, in caso di concessioni, non è previsto l’importo del lavoro o del servizio a base di gara (la spesa per realizzare l’intervento è, infatti, a carico del concessionario). In caso di concessione le risorse stanziate in bilancio non coprono tutta la spesa e non rappresentano l’importo del lavoro o del servizio posto a base di gara e le risorse eventualmente stanziate per quei contratti di concessione che godono di un prezzo (contributo pubblico) attribuito dal concedente sono finalizzate a garantire l’equilibrio finanziario del contratto concessorio. In conclusione, una voce di spesa per incentivi tecnici non potrebbe essere legittimata ai sensi del predetto comma 2, per mancanza, nella concessione, del presupposto costituito dallo stanziamento che deve comprendere tutte le risorse necessarie per il lavoro o servizio posto a base di gara.
In tale contesto, la previsione di incentivi tecnici in caso di concessione con contributo a carico dell’ente concedente presupporrebbe, inoltre, l’inammissibile “creazione”, da parte dell’interprete, di una regola volta ad individuare il valore al quale fare riferimento per la determinazione del compenso incentivante.
Appare chiaro, quindi, che l’art 165 del codice, che prevede il pagamento di un prezzo al concessionario, ha come fine quello di garantire il raggiungimento dell’equilibrio economico finanziario dell’investimento, condizione, questa, necessaria per procedere all’affidamento della concessione, e che l’art 167 del codice “ha il preciso e precipuo scopo di assicurare che nella determinazione dell’importo da mettere a base di gara la stazione appaltante tenga conto, anche, delle forme di “vantaggio economico” comunque intese che si intende riconoscere all’aggiudicatario, al fine di assicurare effettività al principio della libera concorrenza ed ai corollari della non discriminazione e trasparenza nelle procedure di gara.”(Piemonte delib. 110/2019/PAR).
I contratti di appalto si differenziano dai contratti di concessione in quanto mentre i primi comportano il pagamento di un corrispettivo a carico dell’Ente, (art. 3 del codice dei contratti) i secondi trovano la propria remunerazione nella gestione dell’opera o del servizio. Per i contratti di appalto il “prezzo” costituisce il corrispettivo erogato dall’amministrazione, mentre il “prezzo” eventualmente riconosciuto nel contratto di concessione ai sensi dell’art 165, ha il fine di garantire l’equilibrio economico. Nei contratti concessori il rischio di gestione rimane in capo al concessionario anche quando vi è l’erogazione di un prezzo da parte del concedente, mentre nel contratto di appalto il rischio è intestato all’amministrazione.
Ritiene pertanto il Collegio che anche in presenza del pagamento di un “prezzo” da parte dell’amministrazione giudicatrice, il contesto normativo di riferimento non consenta l’assimilazione della concessione al contratto di appalto ai fini dell’estensione degli incentivi tecnici.