Giova puntualizzare in questa sede che l’utilizzazione per la assunzione a tempo determinato di graduatorie formate all’esito di un pubblico concorso, secondo il canone di cui all’articolo 97, comma 4, Cost., non può che comportare il rispetto dell’ordine della graduatoria.
È questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione – Sezione Lavoro – con l’ordinanza n. 25986 pubblicata il 16 novembre scorso.
Sbaglia pertanto il giudice d’appello a ritenere che l’amministrazione, pur essendosi impegnata ad utilizzare per le assunzioni a termine le graduatorie degli idonei dei concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato, non sia tenuta a seguirne l’ordine, ben potendo individuare liberamente i destinatari della proposta di impiego.
Tale interpretazione, infatti, contrasta con il principio del concorso di cui all’ articolo 97, quarto comma, Cost. Invero, la Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato che la selezione concorsuale costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare efficienza, buon andamento ed imparzialità. La facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (sentenze n. 110 del 2017 e n. 90 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del 2014, n. 217 e n. 51 del 2012, n. 310 del 2011, n. 150 e n. 9 del 2010, n. 293 e n. 215 del 2009, n. 363, n. 205 e n. 81 del 2006). In particolare, con le sentenze nr. 110/2017 e nr. 73/2013 il giudice delle leggi ha chiarito essere in contrasto con l’art. 97 Cost. l’utilizzazione di graduatorie che non siano state formate all’esito di procedure rispondenti al principio del pubblico concorso non solo quando il fine è quello di assumere personale a tempo indeterminato ma anche quando l’intendimento è quello di instaurare (o prorogare) contratti a tempo determinato.
Ma una simile interpretazione contrasta, altresì, con il canone del buon andamento e della imparzialità della pubblica amministrazione di cui al comma due dell’articolo 97 Cost., applicabile anche allorquando l’amministrazione agisca con i poteri datoriali di tipo privatistico. Come già statuito da questa Corte ( ex aliis: Cassazione civile sez. lav., 15/06/2020, n.11537; 06/06/2016 , n. 11595), il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati (nel medesimo senso cfr. Corte costituzionale sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008): i principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della Pubblica amministrazione e l’esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato.
Non sarebbe conforme ai suddetti principi operare la scelta dei destinatari della assunzione a tempo determinato senza osservare un criterio predeterminato ed oggettivo e, dunque, verificabile; la interpretazione del giudice dell’appello si risolve nel riconoscimento alla pubblica amministrazione di una facoltà di scelta del tutto arbitraria (seppure nell’ambito delle liste degli idonei).
Alle medesime conclusioni conducono del resto i criteri di buona fede e correttezza di cui agli articoli 1175 e 1375 cod.civ., venendo in rilievo l’adempimento di un obbligo assunto dall’Ente con propria deliberazione.