I contratti collettivi nazionali di lavoro per il personale del comparto degli enti locali hanno previsto, in aggiunta alle posizioni organizzative ed agli incarichi di elevata professionalità, da conferire ai dipendenti inquadrati nell’area D nel rispetto delle condizioni procedurali e sostanziali previste dalla relativa disciplina, l’indennità per specifiche responsabilità (si veda attualmente l’art. 70-quinquies del CCNL del 21.5.2018) di importo non superiore ad € 3.000,00 annui lordi, da attribuire in relazione alle risorse del fondo finalizzato a sostenere le politiche di sviluppo delle risorse umane e ad incentivare la produttività (art. 67 del già cit. CCNL del 21.5.2018) e sulla base delle condizioni stabilite dalla contrattazione decentrata.
Orbene, secondo la Cassazione per l’indennità in parola valgono i medesimi principi affermati in passato dalla giurisprudenza di legittimità quanto alle P.O. ed alle P.O.E.R. e, pertanto, da un lato, il conferimento dell’incarico non comporta l’assegnazione di mansioni superiori rispetto a quelle proprie del profilo di inquadramento, dall’altro la voce stipendiale, condizionata dalle scelte organizzative della Pubblica Amministrazione e dalla disponibilità delle risorse, non costituisce una componente fissa del trattamento retributivo fondamentale ed è sottratta all’applicazione del principio di irriducibilità della retribuzione.
Si tratta di istituti contrattuali che, da un lato, rispondono all’esigenza di tener conto in modo adeguato della differenziazione delle attività (indubbiamente sussistente anche in un sistema fondato sui principi della flessibilità e della equivalenza, sotto il profilo professionale, delle mansioni ricomprese nel medesimo livello di inquadramento), dall’altro, però, valorizzano le scelte organizzative della Pubblica Amministrazione da coniugare con la disponibilità delle risorse (che assume peculiare rilievo nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato), scelte che sono rivedibili nel tempo, con la conseguenza che l’attribuzione dell’incarico non fa sorgere in capo al dipendente il diritto soggettivo alla conservazione dello stesso e del relativo trattamento retributivo.
È quanto si legge nell’ordinanza della Sesta Sezione Civile della Cassazione n. 30190 del 14 ottobre 2022.