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Limiti alla richiesta di svolgimento di mansioni riconducibili a profili professionali inferiori

In passato la Corte di Cassazione (cfr. sentenza 7 agosto 2006 nr. 17774) ha affermato la esigibilità da parte del datore di lavoro pubblico di attività corrispondenti a mansioni inferiori quando le stesse abbiano carattere marginale e rispondano ed esigenze organizzative (di efficienza e di economia del lavoro) ovvero di sicurezza, con il limite negativo della completa estraneità alla professionalità del lavoratore, il cui onere di dimostrazione cade a carico di quest’ultimo.

In epoca successiva (cfr. sentenza 21 febbraio 2013 nr. 4301) la stessa Cassazione ha ritenuto legittima la adibizione del dipendente a mansioni inferiori «per esigenze di servizio», sempre che sia assicurato in modo prevalente ed assorbente l’espletamento di quelle concernenti la qualifica di appartenenza.

Nella fattispecie di causa non è in discussione né il carattere marginale delle mansioni inferiori rispetto a quelle corrispondenti alla categoria di assegnazione né la esistenza di esigenze aziendali; piuttosto, il ricorrente denuncia la violazione degli ulteriori limiti talora individuati dalla giurisprudenza più rigorosa. In particolare, deduce: da un canto, che le mansioni inferiori rientravano nella competenza specifica di altri lavoratori (gli ausiliari specializzati) di categoria A; dall’altro, che era carente il requisito della temporaneità della esigenza di flessibilità.

Ritiene questa Corte che si tratti di limiti non riferibili comunque al lavoro pubblico contrattualizzato. La tutela del lavoratore è assicurata: dall’esercizio, in modo prevalente ed assorbente, delle mansioni proprie della categoria di appartenenza; dalla assenza di una estraneità di carattere assoluto delle mansioni accessorie rispetto alla sua professionalità. In tale ipotesi, l’unica ulteriore condizione del legittimo esercizio da parte del datore di lavoro pubblico del potere di specificazione e/o conformazione dell’attività dovuta è costituita dalla esistenza di una obiettiva esigenza aziendale.

Il fatto che le mansioni assegnate siano proprie di un profilo professionale di categoria meno elevata non costituisce, invece, un limite, in quanto detta eventualità è intrinseca nel carattere inferiore delle mansioni accessorie.

Sono rimesse, poi, alla pubblica amministrazione, nell’esercizio di discrezionalità amministrativa, le scelte relative alla consistenza della pianta organica e dunque le valutazioni sulla opportunità di prevedere (o meno) in organico una o più figure del profilo inferiore. Ed anche nel caso di mancata copertura degli organici (ad esempio, per esigenze di finanza pubblica) verrebbe in rilievo il dovere di leale collaborazione del lavoratore, in attuazione non solo del principio di correttezza e buona fede di cui all’articolo 1375 cod.civ. ma anche dell’obbligo dei pubblici impiegati di tutelare l’intesse pubblico sotteso all’esercizio delle loro attività.

I doveri posti a carico del dipendente pubblico dalla legge, dal codice di comportamento, dalla contrattazione collettiva tengono conto della particolare natura del rapporto di lavoro pubblico, ancorché contrattualizzato, che pone l’impiegato al «servizio della Nazione» (articolo 98, comma 1 Cost.) e, quindi, lo impegna ad ispirare la propria condotta al rispetto dei doveri costituzionali di diligenza, lealtà, imparzialità e servizio esclusivo alla cura dell’interesse pubblico, efficacemente riassunti nell’attuale versione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 54.

È quanto ha affermato la Suprema Corte di Cassazione nella recente ordinanza n. 19419 del 17 settembre 2020.
 

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