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La reperibilità eccessivamente gravosa può essere fonte di danni risarcibili ai dipendenti

Questa Corte, nell’interpretare la disposizione dell’articolo 23 del CCNL del 14 settembre 2000, ha già affermato in passato (sentenza del 9 luglio 2008 nr. 18812) che nelle ipotesi di servizio di reperibilità effettuato nel giorno di riposo settimanale e di mancata fruizione del riposo compensativo spetta al lavoratore un adeguato risarcimento per il danno da usura.

Nella medesima sentenza si è osservato che spetta al datore di lavoro, onde adempiere ai propri obblighi, garantire il riposo compensativo della reperibilità, predisponendo i relativi turni, indipendentemente dal previsto raggiungimento di un accordo circa le modalità di godimento del riposo.

A tali principi va data continuità, perché coerenti con la interpretazione della direttiva europea 2003/88/CE enunciata, in epoca successiva, dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Lo ha affermato la Sezione Lavoro della Cassazione nella recente ordinanza n. 16582 del 23 maggio 2022.

Secondo i Giudici, inoltre, il limite mensile fissato dal comma tre del già citato art. 23 («6 volte in un mese») non può essere inteso come riferibile a ciascun servizio di reperibilità compreso tra due prestazioni lavorative, anche di più giorni.

Tale interpretazione, afferma infatti il Collegio, dilaterebbe in modo evidente il limite mensile fissato dalle parti collettive, rendendolo di fatto indeterminabile nella durata, in quanto variabile in base alla articolazione dei turni settimanali di lavoro ed, in particolare, del tempo intercorrente tra le due prestazioni lavorative che delimitano il servizio di reperibilità.

Le parti collettive hanno invece inteso fissare un limite preciso, per evidenti ragioni di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Tags: Reperibilità, Riposi compensativi