L’automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio da valutare ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche determina una discriminazione del lavoratore a tempo parziale e anche, indirettamente, di genere, visto che sono soprattutto le donne a scegliere il part-time.
È quanto ha affermato la Sezione Lavoro della Cassazione nella recente ordinanza n. 4313 del 19 febbraio 2024.
A giudizio della Corte infatti, non può essere condivisa l’affermazione della ricorrente secondo cui la ridotta valutazione di tale tipo di lavoro nel computo dell’anzianità di servizio rilevante ai fini della progressione economica sarebbe imposta dallo stesso art. 4 del d.lgs. n. 61 del 2000, laddove esso dispone che «il trattamento del lavoratore a tempo parziale sia riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa». Infatti, quella disposizione riguarda soltanto la retribuzione del lavoratore a tempo parziale, che ovviamente non può essere uguale, ma deve essere proporzionata, a quella del lavoratore a tempo pieno.
Qui, invece, è in discussione la valutazione del servizio pregresso al fine del giudizio sul merito comparativo per attribuire una progressione economica. E, in proposito, i Giudici hanno ritenuto opportuno ribadire che «l’obiettivo di apprezzare in misura puntuale l’esperienza di servizio è in sé legittimo. Occorre, tuttavia, rammentare, in relazione al giudizio di adeguatezza e necessità dei mezzi impiegati, che, come risulta da giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, “l’affermazione secondo la quale sussiste un nesso particolare tra la durata di un’attività professionale e l’acquisizione di un certo livello di conoscenze o di esperienze non consente di elaborare criteri oggettivi ed estranei ad ogni discriminazione. Infatti, sebbene l’anzianità vada di pari passo con l’esperienza, l’obiettività di un siffatto criterio dipende dal complesso delle circostanze del caso concreto, segnatamente dalla relazione tra la natura della funzione esercitata e l’esperienza che l’esercizio di questa funzione apporta a un certo numero di ore di lavoro effettuate” (in termini: Corte di Giustizia/sent. 3 ottobre 2019 cit./ punto 39)» (Cass. n. 21801/ 2021).
In altri termini, non può esserci alcun automatismo tra riduzione dell’orario di lavoro e riduzione dell’anzianità di servizio da valutare ai fini delle progressioni economiche. Occorre invece verificare se, in base alle circostanze del caso concreto (tipo di mansioni svolte, modalità di svolgimento, ecc.), il rapporto proporzionale tra anzianità riconosciuta e ore di presenza al lavoro abbia un fondamento razionale oppure non rappresenti, piuttosto, una discriminazione in danno del lavoratore a tempo parziale. E l’onere della prova dei presupposti di fatto che determinano la razionalità, in tale contesto, del riproporzionamento è a carico del datore di lavoro (v., conf., Cass. n. 10328/2023).
Con l’ordinanza in esame la Sezione ha però anche ricordato che costituisce discriminazione indiretta (art. 25, comma 2, d.lgs. n. 198 del 2006) qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che metta, di fatto, «i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso». La legge non richiede che si tratti di comportamenti o atti illeciti o discriminatori anche sotto altro profilo; guarda soltanto al risultato finale della discriminazione, da apprezzare sul piano della realtà sociale e non solo delle forme giuridiche.
Nel caso di specie, il giudice del merito è ricorso al dato statistico documentato della presenza di donne in stragrande maggioranza tra i dipendenti dell’ente che chiedono di usufruire del part-time, per concludere che svalutare il part-time ai fini delle progressioni economiche orizzontali (ovverosia progressioni economiche non legate ad avanzamenti di carriera, ma comunque meritate , secondo parametri che includono anche l’anzianità di servizio) significa, nei fatti, penalizzare le donne rispetto agli uomini con riguardo a tali miglioramenti di trattamento economico. A conforto del buon fondamento del giudizio delle Corte d’Appello si può aggiungere che la preponderante presenza di donne nella scelta per il lavoro a tempo parziale è da collegare al notorio dato sociale del tuttora prevalente loro impegno in ambito familiare e assistenziale, sicché la discriminazione nella progressione economica dei lavoratori part-time andrebbe a penalizzare indirettamente proprio quelle donne che già subiscono un condizionamento nell’accesso al mondo del lavoro.