Con la sentenza n. 8222 del 14/03/2022 la Cassazione ha chiarito, in tema di tassazione TARI dei magazzini, che nel caso in cui il contribuente provi di produrre esclusivamente rifiuti speciali e provveda a smaltirli autonomamente per mezzo di ditte esterne autorizzate, la parte variabile della TARI non è dovuta (Cassazione 2373/22 e n. 34635/21), avendo però l’onere di comunicare all’Amministrazione comunale i dati idonei alla delimitazione delle aree che non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, costituendo una eccezione alla regola generale secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che detengono o occupano immobili sul territorio comunale.
La Cassazione torna a ribadire però che la parte fissa è sempre dovuta per intero sul mero presupposto della detenzione e del possesso di superfici sul territorio, in quanto potenzialmente idonee alla produzione di rifiuti, considerato che la parte fissa della tariffa è destinata a finanziare i costi essenziali e generali di investimento e servizio nell’interesse dell’intera collettività dunque indipendentemente dalla qualità e quantità dei rifiuti prodotti, così come dall’oggettiva volontaria fruizione del sevizio comunale, (purché effettivamente apprestato e messo a disposizione della collettività). Precisa infine la Corte che si tratta di costi a cui debbono partecipare tutti i possessori di locali all’interno del territorio comunale, in quanto “astrattamente idonei ad ospitare attività antropiche inquinanti e dunque a costituire un carico per il gestore del servizio”. In tal senso si era già espressa con le sentenze n. 5360/20 e n. 7187/21.
Nel caso in esame dalla Corte, invece, la CTR aveva considerato illegittima la pretesa tributaria disposta dal Comune in quanto riteneva corretto detassare l’intera superficie solo in ragione del fatto che la società aveva provato di produrre rifiuti speciali, senza considerare che la produzione di rifiuti speciali in una porzione dell’insediamento produttivo “non escludeva, né logicamente né giuridicamente, la produzione nello stabilimento ‘anche’ di rifiuti urbani ordinari, produzione che non doveva essere dimostrata ad onere dell’ente impositore, in quanto ex lege ricollegata al solo ed obiettivo fatto materiale della detenzione dei locali”.
La Corte di Cassazione torna quindi su uno dei principali nervi scoperti dell’attuale assetto tariffario TARI per le utenze non domestiche, ribadendo (dal ns punto di vista del tutto comprensibilmente) che la parte fissa della tariffa è dovuta da ciascun conduttore o occupante di locali esistenti sul territorio comunale. A questo punto però è evidente e legittimo lo spaesamento degli uffici tributi che da un lato (la norma) leggono della esclusione della superficie dalla tassazione e dall’altro (la giurisprudenza) apprendono la legittimità di imporre il tributo anche sulle superfici produttive di rifiuti speciali. Ad avviso di chi scrive con il D.Lgs. 116/2020 si è davvero persa l’occasione per porre definitiva chiarezza sull’argomento.