Con la recente ordinanza n. 22596 del 4 settembre 2023, la Sezione Lavoro della Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: «in tema di pubblico impiego privatizzato, l’affidamento di incarichi di progettazione, direzione lavori e simili a lavoratori dipendenti della stazione appaltante in mancanza di stanziamenti previsti per la realizzazione dell’opera cui gli incarichi si riferiscono, se pure impedisce il sorgere del diritto al compenso incentivante ai sensi dell’art. 18 della legge n. 109 del 1994 (nel testo all’epoca vigente), tuttavia non fa venire meno il diritto del lavoratore alla retribuzione aggiuntiva per lo svolgimento di attività oltre il debito orario di tali prestazioni di lavoro, corrispondente – in mancanza di altri parametri – alla misura propria del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva tempo per tempo vigente, in quanto il consenso datoriale, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.».
È infatti vero che le remunerazioni delle prestazioni nel pubblico impiego possono essere riconosciute solo se in linea con le previsioni ed allocazioni di spesa e che l’accordo incoerente con esse è invalido (Cass. n. 5679/2022) e rende ripetibili eventuali pagamenti eseguiti sulla sua base (Cass. n. 14672/2022). Ciò però non consente di derogare alla disciplina, in sé centrale nell’ambito del diritto del lavoro regolato su base negoziale, di cui all’art. 2126 c.c., certamente applicabile anche nel pubblico impiego (Cass. n. 18063/2023).
La centralità dell’art. 2126 c.c., ricorda la Cassazione, va posta in connessione anche con le tutele costituzionali del lavoro e della sua retribuzione (artt. 35, comma 1, e 36 Cost.), secondo un sistema che impedisce di ravvisare ostacoli rispetto al pagamento di prestazioni comunque rese con il consenso del datore di lavoro, anche pubblico, seppur poi si evidenzino contrasti con previsioni della contrattazione collettiva, delle regole autorizzatorie per esso previste o con vincoli di spesa.
Poiché i vincoli di spesa, nella citata prospettiva costituzionalmente orientata di cui si è detto, non possono essere valorizzati nel senso di escludere ogni pagamento per una prestazione che sia stata resa con il consenso di chi gerarchicamente la poteva richiedere o accettare, è compito del giudice del merito accertare e quantificare il credito retributivo sulla base di quanto sopra precisato e, dunque, in mancanza di altri riferimenti normativi, in ragione del superamento del debito orario e con riguardo alle misure unitarie orarie proprie del lavoro straordinario secondo la contrattazione collettiva del tempo; senza attribuire rilievo ai limiti orari di ricorso allo straordinario in ipotesi previsti dalla medesima contrattazione.