Con la recente deliberazione n. 172/2024/PAR, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia è tornata ancora una volta a pronunciarsi sul tema del conferimento a titolo oneroso di incarichi e cariche in favore di soggetti già collocati in quiescenza.
Questa volta, però, lo ha fatto prendendo in esame anche il rapporto esistente tra la nuova disciplina introdotta dall’art. 5 del D.L. 95/2012 e la più datata disposizione di cui all’art. 25 della L. 724/1994 (rubricato “Incarichi di consulenza”), la quale prevede che, “al fine di garantire la piena e effettiva trasparenza e imparzialità dell’azione amministrativa, al personale delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, che cessa volontariamente dal servizio pur non avendo il requisito previsto per il pensionamento di vecchiaia dai rispettivi ordinamenti previdenziali ma che ha tuttavia il requisito contributivo per l’ottenimento della pensione anticipata di anzianità previsto dai rispettivi ordinamenti, non possono essere conferiti incarichi di consulenza, collaborazione, studio e ricerca da parte dell’amministrazione di provenienza o di amministrazioni con le quali ha avuto rapporti di lavoro o impiego nei cinque anni precedenti a quello della cessazione dal servizio”.
In proposito la Corte ha evidenziato che il legislatore nel 1994 ha posto stringenti limiti al conferimento di incarichi esterni di consulenza, collaborazione e studio al personale dipendente che aveva maturato il requisito contributivo per l’ottenimento della pensione anticipata di anzianità (e, quindi, valevoli anche per i dipendenti cessati dal servizio ma non ancora in quiescenza nei termini stabiliti dall’art. 24 della L. 724/1994), ma la normativa successiva ha introdotto un divieto generalizzato al conferimento di simili incarichi senza più distinguere tra le diverse forme di collocamento in quiescenza.
Si deve, pertanto, affermare che l’art. 25 della L. 724/1994, che aveva introdotto ulteriori limiti (quello cioè per i dipendenti in quiescenza) agli incarichi speciali affidati ad esterni come previsti dall’art. 380 del D.P.R. n. 3 del 1957, è stato integrato con nuove stringenti limitazioni, introdotte dall’art. 5 del D.L. 95/2012 e s.m.i., che non tengono più conto oltre che del requisito di quiescenza, che non indicano neppure un lasso temporale oltre il quale gli incarichi sono ammissibili e nemmeno distinguono in relazione alla tipologia di incarico.
Chiarito ciò, i Giudici contabili sono tornati a ribadire il carattere tassativo della normativa in esame, con l’ovvia conseguenza che le attività consentite si possono ricavare a contrario, non potendo le attività diverse da quelle elencate essere ricomprese nel divieto di legge.
In tale prospettiva, alcune recenti decisioni della giurisprudenza contabile hanno circoscritto il divieto agli incarichi di studio e di consulenza ritenendoli esclusi per “attività di mera condivisione” quali la “formazione operativa e il primo affiancamento del personale neo assunto” (SRC Liguria n. 66/2023) o le “attività di mera assistenza” (SRC Basilicata, n. 38/2018; SRC Lombardia, n. 126/2022; SRC Lazio n. 88/2023 e n. 80/2024; SRC Liguria n. 133/2023).
Altra giurisprudenza ritiene che l’attività di supporto e formazione in determinate materie al personale neoassunto si sostanzi, tout court, in una consulenza specialistica che ricade nel divieto dell’art. 5 citato (cfr. SRC Sardegna n. 139/2022 e n. 90/2020).
Fatti questi richiami, la Sezione osserva tuttavia che per l’esatta qualificazione dell’attività oggetto del quesito occorre valutare con attenzione l’oggetto dell’incarico anche per evitare interpretazioni antielusive delle norme sopra richiamate.
Solo se l’attività da svolgere è di supporto, affiancamento e assistenza a personale neoassunto ed è limitata ad una formazione di orientamento ed al primo affiancamento, circoscritta nel tempo (poche settimane), l’attività può essere qualificata di mera assistenza e, quindi, non ricompresa nei limiti e divieti della normativa suindicata.
Ove, invece, essa consista in un supporto qualificato per adiuvare o formare il neoassunto nello svolgimento di determinate materie (ad es. edilizia, appalti, discipline finanziarie) l’attività va qualificata come consulenza che rientra tra gli incarichi di collaborazione ad esperti ai sensi dell’art. 7, comma 6, del D.lgs. 165/2001.
La Sezione non ha poi potuto esimersi dal rilevare che l’attività di formazione del neoassunto non richiede, di norma, una “mera assistenza” ma, in presenza di attività complesse, un sostegno conoscitivo da parte di un esperto, maturato nella pregressa esperienza e conoscenza.
Per tale ragione la formazione del personale, sia in ambito pubblico che privato, viene affidata ad esperti mediante contratti di consulenza ovvero di collaborazione a titolo oneroso; prestazioni vietate ai dipendenti in quiescenza (e anche ai dipendenti cessati dal servizio ma non ancora in quiescenza nei termini stabiliti dall’art. 24 della L. 724/1994).
Peraltro, nelle pubbliche amministrazioni, in disparte le verifiche sulle competenze e conoscenze, anche pratiche, effettuate in sede concorsuale, è ormai esperienza comune che i neoassunti seguano percorsi di formazione in house/aula, attraverso appositi corsi piuttosto che su varie piattaforme on line (cfr. la nuova piattaforma on line del Dipartimento della Funzione pubblica Syllabus – Direttiva Formazione 2024).
L’esigenza di formazione, riqualificazione e aggiornamento per natura specialistica riguarda tutti i dipendenti pubblici tanto che l’art. 6 del D.L. 80/2021, convertito in L. n. 113/2021 ha previsto regolare attività di formazione attraverso il Piano Integrato di Attività e di Organizzazione (PIAO).
Si tratta, in buona sostanza, di attività che richiedono competenze specialistiche e che non possono essere ricomprese nella nozione di “assistenza”, al solo fine di eludere le chiare e precettive limitazioni delle norme sopra richiamate.