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Inammissibile l’autorizzazione postuma per gli incarichi extra istituzionali dei dipendenti pubblici

La normativa recata dall’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, nel suo insieme, non vieta l’espletamento di incarichi extraistituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano conferiti dall’amministrazione di provenienza ovvero da questa “preventivamente autorizzati”, rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio. In tal senso, questa Corte ha rilevato che, in tema di pubblico impiego, l’art. 53, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001, in cui è confluito l’art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993 come modificato dall’art. 26 del d.lgs. n. 80 del 1998, vieta ai dipendenti delle P.A. con rapporto di lavoro a tempo pieno l’espletamento di incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri d’ufficio, per i quali sia corrisposto, sotto qualunque forma, un compenso, salvo che lo svolgimento dell’incarico sia stato preventivamente autorizzato, ai sensi dell’art. 1, comma 60, della legge n. 662 del 1996, dall’amministrazione di appartenenza per le specifiche attività consentite dalla legge (Cass. n. 15098 del 2011).

Lo scopo è evidentemente quello di garantire l’imparzialità, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dagli artt. 97 e 98 Cost.; e di evitare che il pubblico dipendente possa svolgere incarichi ulteriori rispetto a quelli che discendono dai propri doveri istituzionali, distogliendolo da essi ovvero creando forme autorizzate di concorrenza soggettiva in capo al medesimo soggetto interessato, e procurandogli un vantaggio economico che non ne giustificherebbe, se stabile e duraturo e quindi dotato dei caratteri della prevalenza e continuità, la permanenza all’interno della pubblica amministrazione, con i conseguenti rilevanti oneri ad essa attribuiti.

Sicché, quanto all’effetto di rimozione del generale divieto di conseguire l’incarico, se non attraverso una autorizzazione adottata prima dell’inizio dello stesso, questo Collegio non ravvisa una diversità della “autorizzazione postuma” rispetto a quella “ora per allora”, in quanto entrambe intervengono dopo l’inizio (ovvero anche la fine) dello svolgimento dell’incarico.

Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, in particolare, ha escluso che possa essere concessa un’autorizzazione successiva con efficacia sanante [e dunque “ora per allora”, stante la specificità del rapporto di pubblico impiego rispetto a situazioni diverse dell’attività amministrativa (ex plurimis, Tar Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 17 luglio 2017, n. 263; Tar Emilia-Romagna Parma, Sez. I, 5 giugno 2017, n. 191; Tar. Calabria Reggio Calabria, sez. I, 14 marzo 2017, n. 195; Tar. Lombardia Milano, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614).

Seppure, dunque, il principio di tipicità degli atti amministrativi non impedisce che il momento di esercizio del potere amministrativo possa essere spostato in avanti in tutti i casi in cui sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base (come per le autorizzazioni postume in relazione ad attività edilizie ovvero paesaggistiche: Cons. Stato, sez. VI, 30 marzo 2004, n. 1695), ciò va escluso nell’ambito specifico degli incarichi dei pubblici dipendenti, che consente che il dipendente medesimo, in presenza di una specifica e preventiva autorizzazione rilasciata da parte dell’amministrazione di appartenenza, possa eccezionalmente ricoprire incarichi ulteriori al di fuori di quelli istituzionali.

Invero, l’autorizzazione postuma (id est, con riferimento allo specifico caso in esame, l’autorizzazione “ora per allora”) risulta ontologicamente incompatibile con la finalità dell’istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui all’art. 53, comma 7, d.lgs. n. 165 del 2001, è quella (come detto) di verificare, necessariamente ex ante, l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Laddove, «il dovere di rispettare la regola per cui – tra gli incarichi non vietati – gli incarichi extraistituzionali consentiti al dipendente (rispetto ai quali quest’ultimo è legittimato a trattenere le relative remunerazioni) sono solo quelli o previamente autorizzati dall’Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente (giacché introdotto per legge) null’altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente» (Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2016, n. 4590).

Va, inoltre, rilevato che il disposto dell’art. 53, co. 9 cit., risulta diretto a sanzionare una violazione di carattere “formale”, integrata cioè dal semplice fatto di un privato che abbia conferito un incarico a un dipendente pubblico senza avere ottenuto preventivamente l’autorizzazione dell’Amministrazione presso cui il medesimo presti servizio. Detto illecito non può, dunque, essere sanato da un’autorizzazione intervenuta successivamente (con effetti anche “ora per allora”) al conferimento dell’incarico.

Tale assunto, risulta confortato tanto dall’inequivoco ed insuperabile significato letterale dell’art. 53, co. 9, che fa esplicito riferimento ad una “previa autorizzazione” dell’incarico medesimo; quanto dalla considerazione, di carattere sistematico, che il potere sanzionatorio è attribuito all’Agenzia delle Entrate (in precedenza al Ministero delle Finanze) e non alla specifica Amministrazione cui appartenga il dipendente investito dell’incarico extra-istituzionale, come invece disposto dal precedente comma 7 dello stesso art. 53. La qual cosa indurrebbe a ritenere che il legislatore delegato non abbia previsto le sanzioni in oggetto (comma 9) allo scopo di contrastare “violazioni sostanziali”; non comprendendosi altrimenti, per quale motivo la potestà punitiva sia affidata a un soggetto pubblico diverso da quello preposto a valutare la compatibilità tra l’incarico esterno e le normali funzioni istituzionali, in quanto titolare del potere di rilasciare l’autorizzazione.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 18206 del 2 settembre 2020.