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In G.U. la legge di conversione del Milleproroghe: la mobilità torna ad essere facoltativa?

È stata pubblicata ieri in Gazzetta Ufficiale la legge 21 febbraio 2025, n. 15, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 dicembre 2024, n. 202, recante disposizioni urgenti in materia di termini normativi (c.d. decreto Milleproroghe).

A partire da oggi, quindi, l’attivazione della mobilità volontaria prima dell’indizione di nuovi concorsi torna ad essere facoltativa.

Bisognerà però capire cosa succederà con l’entrata in vigore del nuovo decreto Pa, il quale obbligherà le amministrazioni a destinare a questa modalità di reclutamento di personale almeno il 15% delle proprie facoltà assunzionali.

Quale delle due norme troverà applicazione?

Una prima interpretazione, fondata sull’applicazione del criterio temporale (lex posterior derogat anteriori), condurrebbe a ritenere fin da subito pienamente operante la nuova disciplina introdotta dal decreto legge sulla Pa e, dunque, implicitamente abrogato l’articolo 3, comma 8, della legge n. 56/2019.

Una seconda interpretazione, a nostro avviso preferibile, consentirebbe invece di risolvere la descritta antinomia applicando il criterio di specialità, ritenendo in tal modo prevalente la normativa contenuta nella legge n. 56/2019, la quale riconosce agli enti (ancora solo per il 2025) un’ampia discrezionalità nella scelta della procedura cui ricorrere per reclutare il personale, tra le varie previste dalla legge.

Sul punto appare in ogni caso auspicabile un pronto intervento chiarificatore da parte dei competenti ministeri, così da scongiurare il rischio che alcune amministrazioni si trovino a dover fronteggiare nel 2026 una riduzione del 15% delle proprie facoltà assunzionali.

Tuttavia, l’implementazione di questa nuova regola solleva anche altre importanti questioni pratiche, come il metodo di calcolo di questa percentuale.

L’ultima versione del provvedimento prevede infatti l’obbligo di destinare alle procedure di mobilità «una percentuale non inferiore al 15 per cento delle facoltà assunzionali» di cui si dispone.

È risaputo, però, che alcune amministrazioni (tra cui gli enti locali) determinano le loro facoltà assunzionali non in base al numero delle cessazioni intervenute nell’anno precedente, bensì sulla scorta di un sistema maggiormente flessibile basato sulla sostenibilità finanziaria della spesa di personale.

È necessario allora comprendere se tale percentuale debba essere applicata all’intero numero di assunzioni teoricamente possibili, data la capacità assunzionale disponibile, o solo a quelle effettivamente programmate nell’anno, come specificate nel Piao.

A nostro avviso questa seconda ipotesi appare di gran lunga preferibile, nonché la più verosimile, essendo improbabile che il legislatore abbia voluto vincolare fino a tal punto le amministrazioni nella scelta delle modalità di reclutamento con le quali far fronte al proprio fabbisogno di personale.

Peraltro, un analogo problema di quantificazione si ripropone anche al momento dell’eventuale applicazione della sanzione conseguente al mancato rispetto dell’obbligo imposto dalla norma. Invero, precisa il decreto, «in caso di mancata attivazione delle procedure di mobilità entro l’anno di riferimento, le facoltà assunzionali autorizzate per l’anno successivo sono ridotte del 15 per cento».

Ma un conto è ridurre del 15% le facoltà assunzionali delle amministrazioni che hanno un regime di turn over con percentuali fissate dalla legge, un altro è ridurre della stessa percentuale le facoltà assunzionali (consistenti in grandezze finanziarie) di quegli enti che operano in un regime incentrato sul rispetto della sostenibilità finanziaria della spesa di personale.

Tags: Decreto Milleproroghe, Mobilità