La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 32603 del 9 novembre scorso, torna a pronunciarsi in merito alla determinazione da parte del Comune dei criteri quali-quantitativi di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani.
Il caso riguarda il ricorso, respinto sia in primo che in secondo grado, presentato da una Società di recupero e commercio di rifiuti avverso avvisi di accertamento TARI 2014 e 2015 con cui venivano assoggettati al tributo aree produttive di rifiuti speciali; la società ricorrente contestava la disciplina regolamentare che indicava un limite quantitativo di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani la cui esistenza era contemporaneamente smentita da un’altra disposizione comunale.
Secondo la CTR, l’area che la Società riteneva detassabile concerneva in realtà il recupero di rifiuti di carta, i quali erano assimilati agli urbani in forza del Regolamento comunale. Inoltre, sempre secondo i giudici, l’art. 184 del D. Lgs. n. 152/2006 classifica i rifiuti, secondo l’origine, in rifiuti urbani e rifiuti speciali e, secondo le caratteristiche di pericolosità, in rifiuti pericolosi e rifiuti non pericolosi, indipendentemente dal profilo quantitativo, ritenendo quindi corretto l’assoggettamento al tributo.
La Società ricorrente deduceva la violazione degli artt. 184, 195 e 198 del D. Lgs. n. 152/2006 e l’omessa disapplicazione dell’art. 10, co. 3 del Regolamento Comunale per violazione degli artt. 184, 195 e 198 del D. Lgs. citato, per non aver la CTR ritenuto che il regolamento comunale, non indicando di fatto un limite quantitativo massimo di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, fosse illegittimo e, quindi, andasse disapplicato e che la stessa, smaltendo in proprio enormi quantitativi di rifiuti speciali, avrebbe avuto diritto all’esenzione dal pagamento della tariffa.
La Cassazione premetteva innanzitutto che “[…] l’avviamento al recupero dei rifiuti speciali assimilabili a quelli urbani direttamente da parte del produttore, determina non già la riduzione della superficie tassabile, bensì il diritto ad una riduzione tariffaria determinata in concreto, a consuntivo, in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, ponendosi a carico dei produttori di rifiuti assimilati l’onere della prova dell’avviamento al recupero dei rifiuti stessi […]. Va altresì premesso che la tariffa di igiene ambientale (TIA) è composta di una quota fissa e di una variabile e, poiché la quota fissa è destinata a finanziare i costi essenziali del servizio nell’interesse dell’intera collettività, essa è sempre dovuta per intero sul mero presupposto del possesso o della detenzione di superfici nel territorio comunale astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, mentre ogni valutazione in ordine alla quantità dei rifiuti concretamente prodotti dal singolo o al servizio effettivamente erogato in suo favore può incidere solo ed esclusivamente sulla parte variabile della tariffa”.
In merito poi all’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, i giudici, discostandosi dalla sentenza n. 15983 del 27 luglio 2020 commentata con l’articolo pubblicato sul nostro sito in data 31 agosto 2020, affermavano quanto segue:
“[…] la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista dall’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 22 del 1997, presuppone necessariamente la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative, dei rifiuti speciali, atteso che l’impatto igienico e ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità […]. Predeterminare se un rifiuto è assimilabile o meno per qualità e quantità è dunque accertamento preliminare indispensabile, in quanto, nel caso in cui la potestà di assimilazione attribuita dalla norma di legge ai Comuni sia stata correttamente esercitata, il contribuente non potrà mai beneficiare di una esenzione totale dal tributo, sebbene l’intera superficie imponibile sia produttiva di rifiuti assimilati e si avvalga per l’intero dello smaltimento; in tal caso infatti avrà solo diritto ad una riduzione della tariffa, prevista dall’art. 49, comma 14, del decreto Ronchi e dal d.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2. Nell’ipotesi, invece, in cui l’assimilazione non sia stata legittimamente disposta dall’ente locale, per violazione del criterio qualitative o anche per l’omessa previsione dell’ulteriore criterio quantitativo, non si rientrerà nel campo di operatività dell’art. 21 del d.lgs. n. 22 del 1997, ma, previa disapplicazione della delibera comunale illegittima […], dovrà trovare applicazione solo la pregressa disciplina che in tema di rifiuti speciali prevedeva all’art. 62, comma 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 la possibilità di una esenzione o riduzione delle superfici tassabili”.
È bene infine evidenziare che le novità normative introdotte dal D. Lgs. 116/2020 hanno soppresso la fattispecie di rifiuto assimilato e previsto uno specifico elenco qualitativo che definisce la nuova categoria di rifiuto urbano prodotto dalle utenze non domestiche; i criteri quali-quantitativi precedentemente adottati dai Comuni non sono dunque più applicabili a decorrere dall’anno in corso: di conseguenza, in forza della nuova normativa, le aree sulle quali sono prodotti i rifiuti che rientrano nell’Allegato L-quater al Testo Unico Ambientale sono pienamente assoggettabili al tributo non sussistendo più alcun limite quantitativo come anche evidenziato dalla Circolare del Ministero della Transizione Ecologica del 12 aprile 2021; le aree sulle quali sono prodotti rifiuti diversi da quelli elencati nell’Allegato citato sono invece escluse dalla tassazione.