Il fabbricato che custodisce al proprio interno dei beni mobili per i quali è stato riconosciuto l’interesse storico-culturale è sottoposto alla riduzione del 50% della base imponibile, dato che tra di loro sussiste una interdipendenza funzionale. È quanto ha stabilito la Cassazione nell’ordinanza n. 9036 depositata il 15 maggio 2020.
La vicenda tra origine dalla controversia circa la corretta quantificazione del tributo, sorta tra un Comune e il proprietario di un edificio, utilizzato come farmacia, al cui interno erano custoditi alcuni beni mobili sottoposti al vincolo culturale.
Mentre i giudici tributari di primo e secondo grado avevano ritenuto che il fatto di poter trasferire agevolmente i beni culturali mobili impediva la sussistenza di una connessione strutturale imprescindibile tra questi e il fabbricato che li custodisce, non potendo quindi quest’ultimo essere esso stesso un bene culturale, la Cassazione ha evidenziato come possa invece sussistere un “nesso inscindibile tra le parti di un edificio attinte da un vincolo parziale e il resto dell’edificio sia con riferimento al valore storico-artistico dell’immobile complessivamente considerato sia con riferimento ai pesanti oneri manutentivi che dallo stesso derivano”.
Il principio stabilito dalla Suprema Corte, benchè ancora in ambito ICI, è estendibile anche all’IMU, in considerazione del fatto che la disciplina tributaria prevista a favore dei beni culturali non ha subito nel tempo alcuna variazione (e neppure in occasione della revisione operata con la L. n. 160/2019 di introduzione della c.d. nuova IMU).