Come vi abbiamo anticipato nei giorni scorsi su questo sito, il disegno di legge di bilancio 2025 prevede che l’anno prossimo le amministrazioni locali con più di 20 dipendenti potranno effettuare nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato in misura non superiore ad una spesa pari al 75 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.
A ben vedere, tuttavia, la nuova disciplina vincolistica non si sostituirà a quella oggi vigente, ma si sovrapporrà ad essa, creando così intuibili criticità interpretative e applicative di cui gli operatori avrebbero fatto volentieri a meno.
Invero, il comma 9 dell’art. 110 della legge di bilancio statuisce chiaramente la perdurante vigenza delle disposizioni recate dall’articolo 33 del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58 (con l’inciso “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 giugno 2019, n. 58…”), che quindi continueranno a trovare applicazione contestualmente al limite assunzionale di nuova introduzione.
Anche le amministrazioni più grandi dovranno pertanto necessariamente continuare a calcolare l’incidenza delle spese di personale sulle entrate correnti dell’ultimo triennio, ma dalle risultanze di questo calcolo discenderanno conseguenze diverse da quelle oggi abituali.
In particolare, ove detto rapporto dovesse risultare inferiore al valore soglia previsto per la relativa fascia demografica di appartenenza, l’ente non potrà più espandere la propria spesa di personale fino al predetto valore soglia, ma dovrà limitarsi ad assumere un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa non superiore al 75% di quella relativa al personale di ruolo cessato nell’anno precedente.
Qualora invece detto rapporto dovesse risultate compreso tra i due valori soglia (“medio” e “massimo”) previsti dal D.M. del 17/3/2020, l’ente non solo non potrà incrementare il ridetto rapporto rispetto a quello registrato nell’ultimo rendiconto approvato, ma dovrà anche preoccuparsi di contenere la spesa per le nuove assunzioni entro il 75% di quella relativa al personale cessato nell’anno precedente. In sintesi, dunque, l’amministrazione dovrà attenersi al più basso dei due limiti che otterrà dal computo dei propri spazi assunzionali.
Da ultimo, laddove il rapporto fra la spesa di personale e la media delle entrate correnti relative agli ultimi tre rendiconti approvati dovesse risultare superiore al valore soglia massimo (definito come “superiore” dalla legge), l’ente dovrà in ogni caso osservare un turn over pari al 30 per cento fino al conseguimento del predetto valore soglia.
Sembra comunque già oggi possibile affermare che, per quanto attiene al criterio di calcolo del budget di spesa su cui calcolare la percentuale di sostituzione, si dovrà prendere a riferimento la spesa a regime di ogni singolo cessato per l’intera annualità, assicurando criteri omogenei rispetto al calcolo degli oneri assunzionali.
Inoltre, come affermato in passato dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Lombardia (si veda la deliberazione n. 71/2017/PAR), non sembra possibile enucleare a questi fini un sottoinsieme di spese del personale cessato da escludere dal parametro di riferimento. Pertanto, la percentuale in esame dovrà essere calcolata facendo riferimento alla nozione di spesa del personale nel suo complesso, potendola riferire alla nozione di retribuzione lorda individuata ai fini dell’applicazione del comma 557 dell’art. 1 della l. 296/2006.
Pare altresì ragionevole ritenere che nel nuovo sistema delineato dal legislatore la mobilità volontaria (quanto meno quella riguardante due enti entrambi con più di 20 dipendenti) potrà tornare ad essere considerata “neutrale” ai fini della determinazione dei nuovi spazi assunzionali, non essendo più questi ultimi legati esclusivamente alla sostenibilità finanziaria della spesa del personale.