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Il calcolo del limite del trattamento accessorio nel 2020

Come noto, l’art. 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75/2017, ha posto un limite all’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale parametrato al «corrispondente importo determinato per l’anno 2016».

Si tratta di una norma, come affermato dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti (cfr. del. 19/SEZAUT/2018/QMIG) di coordinamento della finanza pubblica, con l’obiettivo di una graduale armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale delle pubbliche amministrazioni, le cui modalità sono demandate alla contrattazione collettiva. Infatti, “la disposizione (…) in esame pone un limite all’ammontare complessivo delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale in servizio presso pubbliche amministrazioni, non distinguendo fra quelle aventi fonte nei fondi per la contrattazione integrativa previsti dai vari contratti collettivi nazionali di comparto (Circolare MEF-RGS n. 12/2011 e Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione n. 51/2011/CONTR) e quelle finanziate direttamente a carico del bilancio delle amministrazioni (…). Tale ultima ipotesi si verifica, per esempio, (…) nel caso delle indennità remuneranti le c.d. posizioni organizzative attribuite al personale degli enti locali” (in questi termini vd. Corte dei conti, sez. contr. Lombardia, 200/2018).

Su questo corpus normativo si sono innestate di recente le previsioni dell’art. 33, comma 2, del D.L. n. 34/2019, convertito dalla L. n. 58/2019, il quale, all’ultimo periodo, dispone che “Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”.

In attuazione della riferita disposizione è intervenuto il D.M. 17 marzo 2020, in tema di “Misure per la definizione delle capacità assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni”, prevedendone la decorrenza a partire dal 20 aprile 2020.

Orbene, secondo la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Campania (cfr. deliberazione n. 97/2020/PAR), in questo nuovo quadro normativo che si è recentemente delineato (coordinando le due disposizioni in precedenza citate), la disciplina che ne risulta è la seguente: il riferimento base è previsto dall’art. 23, comma 2, cit. (indicato nell’anno 2016); questo dato deve, poi, essere adeguato, aumentandolo o diminuendolo, in modo da assicurare l’invarianza nel tempo del valore medio pro-capite del 2018.

In tal modo, superando definitivamente il limite del trattamento accessorio del 2016, e costruendone uno nuovo, a partire dal 2018, si garantisce a ciascun dipendente un valore medio, in caso di assunzione di nuovi dipendenti, tale che all’incremento del numero dei dipendenti, l’ammontare del trattamento accessorio cresca in maniera proporzionale.

Qualora, invece, il numero di dipendenti dovesse diminuire non è possibile scendere al di sotto del valore – soglia del trattamento accessorio del 2016.

La norma prevista dall’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 75/2017, rimanendo in vigore, non deve più essere considerata come valore assoluto da prendere a riferimento, bensì come il limite minimo inderogabile, al di sotto del quale non è possibile riconoscere il trattamento accessorio; e ciò anche in considerazione del fatto che, trattandosi di un trattamento accessorio ormai maturato, esso rappresenta un diritto quesito che non può essere negato, in caso di diminuzione di dipendenti.

Del resto, il DM 17 marzo 2020 cit. prevede, in motivazione, che “è fatto salvo il limite iniziale, qualora il personale in servizio sia inferiore al numero rilevato al 31 dicembre 2018”.

Sembrerebbe pertanto trovare conferma quell’orientamento interpretativo secondo il quale il nuovo limite di spesa si ottiene moltiplicando il valore medio pro-capite delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale nell’anno 2018 per il numero di dipendenti in servizio nell’anno di osservazione e non sommando al limite del 2016 l’ammontare delle risorse medie pro capite del 2018 moltiplicate per i nuovi assunti.