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Effetti della mobilità volontaria per interscambio tra unioni di comuni e comuni

Come incide sul calcolo della capacità assunzionale degli enti interessati l’ipotesi di mobilità volontaria per interscambio tra unioni di comuni e comuni?

Nel dare riscontro a tale quesito, la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Toscana (si veda la deliberazione n. 206/2023/PAR) ha preliminarmente ricordato che la neutralità finanziaria dell’istituto può realizzarsi solo qualora le amministrazioni coinvolte nella procedura di mobilità siano soggette al medesimo regime limitativo assunzionale da turnover (e non ad un limite individuale di spesa). Solo in tal caso, infatti, si realizza lo scopo perseguito dalla norma, ossia quello di evitare aumenti della spesa del personale incontrollati, non solo con riguardo al singolo ente, bensì all’intero comparto pubblico (Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 169/2020/PAR).

Di contro, in caso di mobilità tra due enti sottoposti a limiti assunzionali di natura diversa, come avviene nel caso di passaggio di personale da una unione di comuni ad un comune (la disciplina di legge oggi vigente prevede, infatti, che – al fine di calcolare la capacità assunzionale – si applichino due criteri diversi per comuni e unioni di comuni: da un lato, quello della sostenibilità finanziaria della spesa di personale, che consente ai comuni – al ricorrere di determinati parametri di virtuosità – un incremento premiale della spesa; dall’altro, quello del turnover, che impone alle unioni di comuni un parametro predefinito, riferito alla misura del 100 per cento delle cessazioni dal servizio dell’esercizio precedente), viene a mancare la condizione necessaria a realizzare la neutralità e, pertanto, le amministrazioni coinvolte devono far ricorso alle proprie capacità assunzionali, queste ultime risultando erose dal processo di acquisizione di personale in mobilità.

Chiaramente però, come affermato nella circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica – del 13 maggio 2020, “la definizione delle facoltà assunzionali ancorate alla sostenibilità finanziaria implica una necessaria lettura orientata della norma recata dall’art. 14, comma 7, del decreto-legge n. 95/2012”, con la conseguenza che la stessa “deve ritenersi non operante per i comuni che siano pienamente assoggettati alla vigenza della disciplina fondata sulla sostenibilità finanziaria”.

Secondo tale lettura, il già richiamato art. 14, comma 7, è esclusivamente riconducibile al contesto delle limitazioni assunzionali da turnover e pertanto non opera quando la mobilità trovi attuazione da e verso enti soggetti alla nuova disciplina della sostenibilità finanziaria, non essendo prospettabile in riferimento a tali enti una mobilità finanziariamente neutra.

Se così non fosse, se cioè all’art. 14, comma 7, venisse riconosciuta valenza applicativa anche in assenza del presupposto della neutralità finanziaria, nel caso di trasferimento per mobilità tra due enti, di cui uno assoggettato alla disciplina del turnover e l’altro a diverso regime, la capacità assunzionale del primo ente verrebbe ad essere incisa sia in entrata, sia in uscita. Nel caso di mobilità in entrata, infatti, come già detto più volte, la capacità assunzionale dell’ente in turnover si contrarrebbe; nel caso di mobilità in uscita, non gli sarebbe consentito alcun recupero di capacità assunzionale.

Applicando tale soluzione alla fattispecie del trasferimento reciproco e contestuale di personale (mobilità compensativa o da interscambio) tra unioni di comuni e comuni, che forma oggetto dell’odierna richiesta di parere, questa doppia incisione delle facoltà assunzionali produrrebbe un risultato netto di perdita di una unità di personale per l’ente in turnover, giacché esso – acquisendo una unità di personale in mobilità dall’ente in regime di sostenibilità finanziaria – verrebbe a consumare la propria capacità assunzionale ma, al contempo, si vedrebbe preclusa la possibilità di considerare come utile, ai fini della espansione delle proprie facoltà assunzionali, il passaggio inverso (cessione) di un proprio dipendente in mobilità verso l’ente di provenienza dell’unità trasferita (che è a sua volta obbligato a considerare il duplice trasferimento nel calcolo della propria soglia di sostenibilità).

Una simile opzione interpretativa, afferma la Sezione, sembra eccedere il risultato perseguito dal legislatore, che ha disciplinato l’istituto della mobilità non a fini di riduzione della consistenza numerica dei dipendenti, ma a fini di una ottimale distribuzione del personale, con invarianza dei saldi complessivi. La penalizzazione che ne risulterebbe, in termini assunzionali, per l’ente in turnover, si porrebbe in definitiva in contrasto con il favor dimostrato dal legislatore stesso verso l’istituto.

Pertanto, nell’ipotesi di mobilità compensativa tra unioni di comuni e comuni, stante il diverso regime limitativo delle assunzioni e la conseguente preclusione all’operatività della neutralità finanziaria, la Sezione ritiene che, per quanto riguarda l’acquisizione di personale in entrata, l’unione di comuni ricevente consumi la propria capacità assunzionale; mentre, per quanto riguarda il trasferimento di personale in uscita, l’impossibilità di realizzare una mobilità finanziariamente neutra faccia venir meno i presupposti per l’applicabilità dell’art. 14, comma 7, d.l. n. 95/2012 e consenta all’unione cedente il recupero della capacità assunzionale corrispondente.

Tags: Assunzioni di personale, Mobilità