In materia di pubblico impiego privatizzato, dove la legge e la contrattazione collettiva predeterminano tutti gli elementi essenziali del contratto, come la qualifica, le mansioni, il trattamento economico e normativo e il periodo di prova, non sono ravvisabili ostacoli alla tutela costitutiva invocata dal lavoratore, iscritto nelle liste di avviamento obbligatorio e risultato idoneo al collocamento, dovendosi solo valutare, con accertamento di fatto riservato al giudice del merito, se siano o meno praticabili “ragionevoli accomodamenti” per rendere concretamente compatibile l’ambiente lavorativo con le limitazioni funzionali del lavoratore disabile
È questo il principio di diritto affermato dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione con l’ordinanza del 26 febbraio 2024, n. 5048.
Con l’ordinanza in esame, infatti, il Giudice di legittimità ricorda innanzitutto come l’art. 5 della direttiva 2000/78, rubricato “soluzioni ragionevoli per disabili”, disponga che «per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato…».
La citata normativa impone quindi al datore di lavoro l’adozione di provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, a meno che tali provvedimenti richiedano un onere finanziario sproporzionato o eccessivo, con l’ulteriore precisazione tuttavia che la soluzione non può dirsi ex se sproporzionata allorché «l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili»; non si è mancato di precisare, inoltre, che l’adozione di tali misure organizzative è prevista in ogni fase del rapporto di lavoro, anche in quella genetica e, quindi, anche per gli assunti come invalidi ai fini del collocamento obbligatorio (Cass., Sez. L, n. 6497 del 9/03/2021).
Non può perciò essere condivisa l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui «compete alla sola parte datoriale ogni valutazione circa l’utilità economica e organizzativa di avvalersi di un operatore socio sanitario che non può fare uso di strumentazione e non può avere contatto con gli ammalati».
Per contro, spetta innanzitutto al giudice del merito un sindacato diretto sulla misura dell’accomodamento, che postula per sua natura un’interazione fra una persona individuata, con le sue limitazioni funzionali, e lo specifico ambiente di lavoro che la circonda, interazione che, per la sua variabilità, non ammette generalizzazioni, e dove la regola della ragionevolezza funge da criterio guida, in quanto penetra anche i rapporti contrattuali, quale forma di osservanza del “canone di correttezza e buona fede che presidia ogni rapporto obbligatorio ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ.” (cfr. Cass. 55.UU. n. 5457 del 2009) e che risulta “immanente all’intero sistema giuridico, in quanto riconducibile aI dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost.” (cfr. Cass. 55.UU. n. 15764 del 2011; v. pure Cass. 55.UU. n. 23726 del 2007; cfr. Cass. 55. UU. n. 18128 del 2005), esplicando “la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preserva re gli interessi dell’altra” (Cass. 55. UU. n. 28056 del 2008).