Ai sensi della normativa vigente e delle indicazioni contenute nelle Linee guida dell’ANAC in materia di accesso civico, si deve ritenere corretto il diniego all’accesso civico generalizzato opposto da un Comune ad un soggetto istante, il quale pretendeva di conoscere i punteggi conseguiti dai singoli dipendenti ai fini del riconoscimento della progressione economica.
È quanto affermato dal Garante della privacy con un parere del 13 maggio scorso.
Ciò in quanto il riconoscimento di un eventuale accesso civico anche ai punteggi dei singoli dipendenti, unita alla generale conoscenza e al particolare regime di pubblicità dei dati oggetto di accesso civico, può arrecare ai dipendenti comunali interessati (facilmente re-identificabili), a seconda delle ipotesi e del contesto in cui i dati e le informazioni fornite possono essere utilizzate da terzi, proprio quel pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali previsto dall’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d. lgs. n. 33/2013.
Al riguardo, infatti si deve tener conto che – per quanto riportato dal RPCT nella richiesta di parere al Garante – «Secondo il Sistema di Misurazione e Valutazione della Performance vigente nell’Ente, il punteggio finale conseguito ai fini del riconoscimento della progressione economica è la sommatoria di singole valutazioni attribuite dai dirigenti a fattori diversi, che attengono a competenze, qualità, capacità e caratteristiche personali dei singoli soggetti coinvolti». Tale «valutazione è finalizzata ad individuare, in modo selettivo, i dipendenti cui riconoscere un incremento retributivo derivante dal passaggio ad una posizione economica superiore in relazione allo sviluppo delle competenze professionali ed ai risultati individuali e collettivi rilevati dal sistema di valutazione già menzionato», pertanto la «conoscibilità da parte di chiunque dei dati e documenti richiesti potrebbe esporre gli interessati a difficoltà relazionali con i colleghi di lavoro e creare ingiustificati pregiudizi da parte degli utenti esterni che venissero a contatto con gli stessi nell’esercizio delle proprie funzioni, realizzando un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei loro diritti e nelle loro libertà».
Tutto ciò considerato, il Garante ha ritenuto che l’ostensione dei punteggi dei singoli dipendenti richiesti, anche considerando i casi e il contesto in cui gli stessi possono essere utilizzati da soggetti terzi, nonché il particolare regime di pubblicità prima ricordato dei dati e delle informazioni ricevuti tramite l’istituto dell’accesso civico (cfr. art. 3, comma 1, d. lgs. n. 33/2013), determini un’interferenza ingiustificata e sproporzionata nei diritti e libertà dei soggetti controinteressati, arrecando a questi ultimi un pregiudizio concreto alla tutela della protezione dei dati personali (art. 5-bis, comma 2, lett. a, del d. lgs. n. 33/2013; art. 5, par. 1, lett. b e c, del RGPD). Ciò anche tenendo conto delle ragionevoli aspettative di confidenzialità di questi ultimi in relazione al trattamento dei propri dati personali da parte dell’amministrazione, nonché della non prevedibilità, al momento della raccolta dei dati, delle conseguenze derivanti dalla eventuale conoscibilità da parte di chiunque dei dati richiesti.
Resta però ferma, ricorda il Garante, la possibilità per l’istante di accedere ai punteggi richiesti, laddove – utilizzando il diverso istituto dell’accesso ai documenti amministrativi ai sensi degli artt. 22 ss. della l. n. 241/1990 – dimostri di essere titolare di «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso».