Skip to content

Congedi parentali: fruizione permessi e “abuso del diritto”

Con l’ordinanza n. 6993 del 16 marzo 2025, la Corte di cassazione è tornata nuovamente ad occuparsi dell’annosa questione del corretto utilizzo del congedo parentale previsto dall’art. 32 del D.Lgs. 151/2001.

Questa volta a finire sul tavolo dei giudici di legittimità è il licenziamento di un dipendente che durante la fruizione del congedo parentale si era dovuto recare nel paese di residenza della madre a causa dell’improvviso aggravamento delle sue condizioni di salute, lasciando il figlio in Italia con la moglie.

Nel caso di specie la Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore in considerazione della necessità del contemperamento, nella situazione di fatto data, dell’istituto dei permessi con altri valori costituzionali rilevanti nello stesso ambito familiare.

Ad avviso dei Giudici deve infatti essere considerato che viene qui in gioco l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà familiare rilevanti sul piano costituzionale sicché, sotto il profilo sostanziale, non può essere ritenuto contrario allo spirito della disciplina legale se il congedo familiare in discorso sia stato fruito in una situazione di fatto, particolare ed urgente, allo scopo di assicurare, per un periodo contenuto ed in via di eccezione, il contemperamento tutti i diversi valori compresenti nella concreta vicenda; fermo restando che l’obiettivo principale dell’assistenza al minore sia stato sempre e comunque oggettivamente assicurato pure in ambito familiare.

Tale valutazione complessiva e non atomistica della fruizione del permesso, si legge nell’ordinanza, è peraltro demandata al giudice di merito e va operata attraverso un giudizio di adeguatezza ed una valutazione funzionale della condotta del lavoratore, alla stregua della molteplicità dei fatti della vita concreta; essa è, in quanto tale, insindacabile in questa sede di legittimità se congruamente e correttamente motivata.

Anche perché la figura dell’“abuso del permesso” che conduce alla giusta causa implica sul piano soggettivo l’elemento intenzionale ed essa non può esistere quando la finalità della condotta sia stata, come qui è stato accertato in fatto, quella di obbedire ad altri valori impellenti e non di pregiudicare interessi altrui.

Sicché, contrariamente a quanto affermato in ricorso, non esiste alcun automatismo tra la mancata prestazione dell’assistenza al minore e la figura dell’abuso essendo pure necessario valutare, oltre alla sua oggettiva durata, anche la motivazione per cui essa non sia avvenuta.

Questa Suprema Corte con la recente pronuncia n. 1227/2025, intervenendo di nuovo sulla limitrofa materia dei permessi ex l. n.104/1992, ha evidenziato anzitutto come “sul piano sistematico e ordinamentale può dirsi che, sotto il profilo oggettivo, il concetto di “abuso del diritto” implichi l’assenza di funzione, ossia un esercizio del diritto solo apparente, privo di qualunque legame ed utilità rispetto allo scopo per il quale quel diritto è riconosciuto dal legislatore. Sul piano soggettivo è necessario un elemento psicologico, di natura intenzionale o dolosa, che parimenti deve essere accertato, sia pure mediante presunzioni semplici, dalle quali sia possibile individuare la finalità di pregiudicare interessi altrui”.

Inoltre la stessa pronuncia ha ribadito ha ribadito (al punto 3.4) “La necessità che il nesso causale fra l’assenza dal lavoro e l’assistenza al disabile sia valutato non soltanto in termini quantitativi, ma anche qualitativi e complessivamente in modo relativo, ossia tenendo conto del contesto e di tutte le circostanze del caso concreto, è stata da tempo affermata da questa Corte in materia di congedo straordinario retribuito ai sensi dell’art. 42, co. 5, d.lgs. n. 151/2001 (Cass. n. 29062/2017; Cass. n. 13383/2017) e ha indotto a ritenere che il c.d. abuso del diritto sussista soltanto se quel nesso causale venga a mancare “del tutto” (Cass. n. 19580/2019)”.

All’interno di questo quadro ricostruttivo, concludono i Giudici, nemmeno può esistere alcuna violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. in quanto la posizione di chi lavora e la stessa esplicazione della prestazione lavorativa vanno calate sempre nella più complessa realtà, sociale e familiare, in cui vive il prestatore.

Tags: Congedi dei genitori