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Comuni senza certezze sull’adeguamento del tetto al salario accessorio

Come noto, l’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 33 del c.d. “Decreto Crescita” (D.L. 34/2019) ha previsto la revisione delle regole per la fissazione del tetto di spesa relativo all’ammontare complessivo delle risorse che ciascuna amministrazione pubblica può annualmente destinare al trattamento accessorio del proprio personale.

Si prevede, infatti, che il limite posto dall’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 75 del 2017, dovrà essere “adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”.

Ad oggi, tuttavia, vi sono pochissime certezze su come calcolare il nuovo limite di spesa. La norma, infatti, solleva una serie di importanti interrogativi che si possono riassumere nelle seguenti domande:

1) L’adeguamento va operato sull’intero ammontare delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio oppure distintamente per ciascuna categoria di personale? Le conseguenze del prevalere dell’una piuttosto che dell’altra opzione interpretativa non sono ovviamente di poco conto. Il valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per le risorse decentrate è infatti di regola inferiore al valore medio pro-capite, relativo allo stesso anno, del “fondo” delle posizioni organizzative. Per di più, le risorse destinate al finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni organizzative istituite dall’ente restano vincolate alla loro specifica finalità fino a che sussistono le posizioni organizzative la cui retribuzione di posizione e di risultato vanno a finanziare; pertanto, l’importo calcolato con riferimento all’anno di istituzione, in relazione alle posizioni organizzative previste ed alle caratteristiche del personale incaricato della titolarità delle stesse, dovrebbe variare nel tempo soltanto in relazione al mutamento del numero delle posizioni organizzative da attribuire. In ogni caso, a nostro avviso la norma in commento non appare prescrivere che le risorse del fondo siano da “sommare” a quelle iscritte in bilancio per remunerare la retribuzione accessoria delle posizioni organizzative, determinando un unico “monte-risorse” da sottoporre ad adeguamento. Viceversa, riteniamo corretto considerare distintamente la sezione riferita al fondo e la sezione riferita alle posizioni organizzative (a carico del bilancio dell’ente).

2) L’adeguamento in questione deve essere effettuato applicando il metodo della semisomma di cui alla circolare del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del 15 aprile 2011, n. 12? La risposta a questa domanda parrebbe essere negativa, visto che la norma dice chiaramente di prendere “a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”. Per cui basterà dividere l’aggregato di spesa oggetto di calmierazione per il numero dei dipendenti in servizio al 31 dicembre 2018, così da ottenere un valore medio pro-capite del limite di spesa da garantire anno per anno.

3) Il nuovo limite di spesa si ottiene moltiplicando il valore medio pro-capite delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale nell’anno 2018 per il numero di dipendenti in servizio nell’anno di osservazione o sommando al limite del 2016 l’ammontare delle risorse medie pro capite del 2018 moltiplicate per i nuovi assunti? A nostro avviso, il metodo corretto di calcolo è certamente il primo. Invero, il limite al trattamento accessorio del personale non è quello riferito al 2016; la norma invita a prendere come riferimento quel dato, per adeguarlo, in modo che il valore medio pro-capite del 2018 risulti costante nel tempo.

4) Ai fini dell’adeguamento del limite di spesa, rilevano oppure no le assunzioni/cessazioni avvenute in corso d’anno? In base al tenore letterale della norma la risposta al presente quesito parrebbe essere positiva. Una volta cioè determinato il valore medio pro-capite 2018 del suddetto limite di spesa, occorrerà moltiplicare questo importo per il numero di dipendenti in servizio al 31 dicembre dell’anno di riferimento in modo da ottenere il nuovo tetto massimo spendibile. Il problema è che così facendo, fino al 31 dicembre di ogni anno non si avranno certezze sull’entità delle risorse complessivamente disponibili. Per di più, eventuali cessazioni intervenute nell’ultimo periodo dell’anno ridurrebbero certamente il fondo in misura superiore rispetto a quanto effettivamente risparmiato dall’ente in conseguenza della cessazione, con effetti negativi sulla retribuzione accessoria del personale rimasto in servizio. Sarebbe pertanto più ragionevole optare per un’interpretazione della norma che leghi l’adeguamento del limite alle assunzioni/cessazioni intervenute nell’anno precedente. Diversamente, il fondo finirebbe col trasformarsi in un elemento fluido, mutevole, consolidabile solo al 31 dicembre di ogni anno, con l’ovvia conseguenza di rendere indispensabile un aggiornamento del principio contabile in materia di imputazione delle spese relative al trattamento accessorio e premiante (lettera a, del paragrafo 5.2. dell’Allegato n. 4/2 al D.Lgs. 118/2011).

5) Come va computato il personale in servizio al 31 dicembre 2018? Non è chiaro, infatti, se ai fini dell’adeguamento vadano presi in considerazione soltanto i dipendenti in servizio a tempo indeterminato o anche quelli a tempo determinato, in comando o in convenzione, come sembrerebbe più corretto fare. E come si computano i dipendenti part-time?

6) È ancora possibile l’esclusione da questo tetto di spesa delle risorse che i comuni senza dirigenti hanno destinato all’incremento del trattamento accessorio delle proprie posizioni organizzative in base al comma 2 dell’art. 11-bis del D.L. 135/2018? A nostro avviso si, anche perché il meccanismo di adeguamento ipotizzato dal Legislatore nazionale non dovrebbe rimettere in discussione l’individuazione delle voci escluse dal limite di cui all’art. 23, comma 2, del D.Lgs. n. 75/2017.