Con la recente ordinanza n. 1098 del 16 gennaio 2023, la Sezione Lavoro della Cassazione ha fornito un’esaustiva panoramica delle differenze che sussistono tra l’istituto del comando e le diverse ipotesi del distacco e dell’avvalimento.
La nozione di comando (istituto disciplinato dall’art. 56 del T.U. n. 3 del 1957) descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una Pubblica Amministrazione, viene temporaneamente a prestare servizio presso altra Amministrazione o presso altro ente pubblico e importa, da un lato, l’obbligo di prestare servizio presso un ufficio od un ente diverso da quello di appartenenza e, dall’altro, la dispensa dagli obblighi di servizio verso l’Amministrazione di origine. La giurisprudenza ha chiarito che nel comando – che determina una dissociazione fra titolarità del rapporto d’ufficio, che resta immutata, ed esercizio dei poteri di gestione – si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo-funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nell’amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera (Cass., Sez. L, n. 13482 del 29 maggio 2018).
Il collocamento nella posizione di comando va considerato un istituto di carattere eccezionale.
La possibilità di disporre il comando di un impiegato presso altra Amministrazione statale o presso enti pubblici è prevista in via eccezionale e di fronte ad esigenze che ne giustifichino l’adozione. Per l’esattezza, nel pubblico impiego privatizzato le esigenze che rilevano, con riguardo al comando, sono quelle dell’Amministrazione di destinazione (Cass., Sez. L, n. 12100 del 16 maggio 2017).
Diverso è l’avvalimento – che si verifica quando l’amministrazione, anziché dotarsi di una struttura propria per lo svolgimento della funzione ad essa assegnata, si avvale degli uffici di altro ente, al quale non viene delegata la funzione stessa – non determina alcuna modifica del rapporto di impiego, perché il personale dell’ente che fornisce la struttura necessaria allo svolgimento del compito resta incardinato in quest’ultimo a tutti gli effetti e non si verifica scissione fra rapporto di impiego e rapporto di servizio.
Ulteriormente distinta da quella del comando è, poi, la fattispecie della utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, a volte denominato distacco nella giurisprudenza amministrativa.
Trattasi di istituto in realtà ignoto alla legislazione del pubblico impiego che, tuttavia, nella prassi aveva ed ha ancora una certa diffusione e si distingue dal comando proprio perché, in teoria, l’impiegato non viene assegnato ad una pubblica amministrazione diversa da quella di appartenenza, ma – temporaneamente – ad un ufficio, diverso da quello nel quale è formalmente incardinato, ma comunque dell’amministrazione datrice di lavoro. Non si tratta pertanto, neppure di un trasferimento che consiste, invece, nel mutamento definitivo del luogo di lavoro.
Nel caso del distacco, quindi, a rilevare sono le esigenze dell’amministrazione di appartenenza.
L’art. 70, comma 12, del d.lgs. n. 165 del 2001 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) ha regolato il trattamento economico in favore del personale comandato, fuori ruolo od in altra analoga posizione, prevedendo che l’amministrazione che utilizza il personale in posizione di comando, di fuori ruolo, o in altra analoga posizione rimborsa all’amministrazione di appartenenza, che sia tenuta ad autorizzare la loro utilizzazione, l’onere relativo al trattamento fondamentale.
Non è, quindi, sempre agevole distinguere fra comando e distacco, spesso apparendo come sinonimi di uno stesso istituto.
In ogni caso, il distacco pubblicistico non va confuso con l’analogo istituto, denominato nello stesso modo, del distacco privatistico, disciplinato dall’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, il cui comma 1 dispone: “L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa“.
Il comando, oltre ad essere oggetto della disciplina di cui all’art. 56 del d.P.R. n. 3 del 1957 è normato anche dall’art. 30, comma 2 sexies, del d.lgs. n. 165 del 2001, ai sensi del quale “Le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, risultanti dai documenti di programmazione previsti all’articolo 6, possono utilizzare in assegnazione temporanea, con le modalità previste dai rispettivi ordinamenti, personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a tre anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali sulla materia, nonché il regime di spesa eventualmente previsto da tali norme e dal presente decreto“.
Questa assegnazione temporanea, di cui parla il citato art. 30, comma 2 sexies, consiste nel comando, ed è simile ad altro istituto, qualificato anch’esso come assegnazione temporanea, disciplinato dall’art. 23 bis, comma 7, del d.lgs. n. 165 del 2001, per il quale: “Sulla base di appositi protocolli di intesa tra le parti, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, possono disporre, per singoli progetti di interesse specifico dell’amministrazione e con il consenso dell’interessato, l’assegnazione temporanea di personale presso altre pubbliche amministrazioni o imprese private. I protocolli disciplinano le funzioni, le modalità di inserimento, l’onere per la corresponsione del trattamento economico da porre a carico delle imprese destinatarie. Nel caso di assegnazione temporanea presso imprese private i predetti protocolli possono prevedere l’eventuale attribuzione di un compenso aggiuntivo, con oneri a carico delle imprese medesime“.
Questa fattispecie di assegnazione temporanea è pur sempre un comando, visto che il dipendente viene fatto traslare da una amministrazione ad un’altra, quando non presso un soggetto privato.
Essa si differenzia dal comando classico perché:
1. occorre un protocollo di intesa tra le parti;
2. questo comando richiede l’esistenza di specifici progetti di interesse specifico dell’amministrazione (comandante ma anche comandataria);
3. la previsione che l’onere economico cada sul comandatario (cosa normale nel caso del comando tra PP.AA.), anche nel caso di assegnazione temporanea a imprese private (qualificate come “imprese destinatarie”).
Da quanto appena esposto, precisano i Giudici, emerge con chiarezza che sia nel comando sia nelle ipotesi di distacco a rilevare sono le esigenze dell’amministrazione, per l’esattezza di quella di destinazione nel comando e di quella di appartenenza nel distacco che, non a caso, riguarda essenzialmente gli spostamenti all’interno della medesima P.A.
Persino ove è prevista la conclusione di appositi protocolli di intesa tra le parti, non rileva l’interesse del dipendente comandato, ma solo quello dell’amministrazione, eventualmente di entrambe le amministrazioni interessate. L’unica tutela per l’impiegato consiste nella possibilità di non aderire.