L’art. 45 del C.C.N.L. 14.9.2000 contiene la norma generale sul servizio mensa e sul buono pasto sostitutivo di esso, stabilendo, in combinazione anche con il successivo art. 46, che il servizio o il buono spettino al personale che presti lavoro al mattino, con prosecuzione nelle ore pomeridiane e pausa intermedia.
L’art. 13 del successivo C.C.N.L. 9.5.2006 ha poi previsto la possibilità «fermo restando l’attribuzione del buono pasto» di individuare, in sede di contrattazione decentrata integrativa, «figure professionali» che, per esigenze di continuità dei servizi e regolare svolgimento delle attività, con riferimento particolare ad alcuni settori, tra cui quello della vigilanza, possano fruire di una pausa pranzo da collocare «all’inizio o alla fine di ciascun turno di lavoro».
Sulla reale portata applicativa di quest’ultima clausola contrattuale sussistono tuttavia alcune importanti divergenze interpretative.
A giudizio dell’Aran (si v. l’orientamento applicativo RAL 1266), infatti, il richiamo ivi contenuto alle disposizioni degli artt. 45 e 46 del CCNL 14.9.2000 fa sì che nella attribuzione dei buoni pasto non si possa comunque prescindere dalla necessaria esistenza di prestazioni lavorative rese sia in orario antimeridiano che pomeridiano.
La Corte di Cassazione, invece, con la recente sentenza n. 5679 del 21 febbraio 2022, ha evidenziato che non può ritenersi in contrasto con la contrattazione nazionale un accordo decentrato che riconosca il diritto al buono pasto agli agenti di Polizia Locale che lavorano in turno a cavallo dell’ora di cena o nell’immediata contiguità con i normali orari di essa.
Secondo gli Ermellini, infatti, il senso della previsione ampliativa di cui all’art. 13 del C.C.N.L. 9.5.2006 va individuato nell’esigenza di tutelare quei dipendenti che svolgono la prestazione in turni che impegnano anche negli orari ordinariamente destinati alla consumazione di un pasto, indipendentemente dall’inizio della prestazione in orario antimeridiano.
Invero, affermano i Giudici di legittimità, è indubbio che l’art. 13 del C.C.N.L. sopravvenuto contenga una previsione ampliativa del diritto al buono pasto, di cui altrimenti non avrebbe avuto senso prevedere la salvezza, se il disposto avesse avuto riguardo soltanto al regime delle pause. Anzi è chiaro, prosegue la sentenza, che la previsione di una collocazione della pausa «all’inizio o alla fine di ciascun turno di lavoro» non può che costituire – stante la contraddizione semantica del riferirsi di essa ad una pausa che non può essere tale perché non intermedia a due periodi di lavoro – una regolazione, al contempo, di un turno che viene così ad essere privato di qualsiasi discontinuità e del connesso diritto al buono pasto, per il determinarsi di un’interferenza, considerando quel turno e quella ficta pausa, con gli orari ordinariamente destinati alla consumazione della cena.
Vale però la pena evidenziare che nel caso di specie i Giudici hanno comunque accertato l’invalidità dell’Accordo decentrato per via della mancata preventiva verifica da parte del Collegio dei revisori.