Da qualche tempo, si dibatte sulla scarsa attrattività del posto di lavoro pubblico, dibattito innescato anche dall’elevato numero di rinunce di candidati vincitori negli ultimi concorsi banditi. Alcune analisi mettono in evidenza anche il livello dei salari, rispetto al settore privato. Il nuovo Rapporto semestrale sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti diffuso quest’oggi dall’Aran affronta questa problematica proponendo un confronto tra livelli salariali di alcuni settori della PA (Ministeri, Agenzie fiscali e Funzioni locali) e livelli salariali rilevati in alcuni settori del privato.
Nei tre settori della PA oggetto di analisi sono impiegate circa 560mila persone, pari al 23% del pubblico impiego contrattualizzato. In questo dato – che comprende anche il personale a tempo determinato – non sono conteggiati i dirigenti, destinatari di uno specifico e diverso contratto.
Nel confronto tra i tre settori del pubblico, ci si è soffermati, in particolare, sull’Area dei funzionari, che più di altre è rivolta ai giovani laureati. Il Rapporto evidenzia anche alcune differenze tra i settori pubblici analizzati: ad esempio, è certamente un fatto che nelle Funzioni locali (regioni, enti locali ed altri enti territoriali) i livelli di partenza sono più bassi rispetto a quelli dei ministeri e delle agenzie fiscali. Ma in questo comparto è possibile crescere economicamente in maniera molto rapida, grazie alla possibilità degli incarichi di elevata qualificazione.
Mettendo a confronto le medie retributive rilevate, nei tre settori della PA, per il più ampio aggregato degli Impiegati, dal Rapporto emerge che non vi sono sostanziali disallineamenti con i settori del privato. Un giovane che entra nella PA riceve una retribuzione d’ingresso sicuramente competitiva rispetto al privato. Il confronto viene fatto anche tra Area del personale ad elevata qualificazione, di recente introdotta nei contratti pubblici, e la categoria dei Quadri del settore privato. Questo confronto sconta tuttavia il limite della disponibilità di dati medi per il settore pubblico. Limitando il confronto ai minimi e massimi retributivi rilevabili da contratto, anche il confronto per l’Area Quadri non evidenzia particolari disallineamenti.
Il Rapporto evidenzia anche, nella parte finale, che la retribuzione – pur essendo un fattore di grande rilievo nelle scelte individuali – non può essere l’unico elemento da prendere in considerazione. L’analisi sull’attrattività deve, pertanto, prendere in considerazione anche altri fattori. Tra i fattori, a favore della PA, vi è sicuramente la maggiore stabilità del posto di lavoro. Altri fattori – come la qualità dei contesti organizzativi, le opportunità di carriera ed i pacchetti di benefici in aggiunta alla retribuzione – sembrano invece penalizzare la pubblica amministrazione. Infine, vi sono altri fattori – come l’utilità sociale del lavoro – che sulla carta sono a favore del posto pubblico, ma non sembrano adeguatamente valorizzati e percepiti.
Da queste analisi si comprende come il tema dell’attrattività vada affrontato adottando molteplici punti di vista e considerando tutte le variabili rilevanti. Va inoltre valutato se alcuni mutati orientamenti sociali e culturali – di cui cominciano a cogliersi segnali sempre più evidenti – possano in prospettiva rendere ancora meno attrattivo il settore pubblico. Un fattore che ha visto notevolmente accresciuto il suo peso nella fase post-pandemica è, ad esempio, l’appartenenza ad una organizzazione flessibile, che favorisce il lavoro da remoto, che flessibilizza gli orari, che riesce a conciliare autonomia individuale e socialità.